Dellio il mondo si cura meno di tutto, e per un uomo la cosa più pericolosa è mostrare di possederlo.
Soren Kierkegaard,
La malattia mortale
Sono reduce - incantato - da un convegno internazionale sul futuro di macchine sempre più attive e interattive. Nel giro di pochi anni potremo mettere nel telefonino qualsiasi tipo di informazione, anche un'enciclopedia, e lui sarà in grado di rispondere (a voce, non con la scrittura) a richieste finora inimmaginabili. Non più bisognosi di tastiera, perché parleranno e capiranno perfettamente la nostra voce, i cellulari saranno così piccoli da poter essere portati al polso come un orologio, o addirittura montati sugli occhiali. Attraverso apparecchi sempre più sofisticati, ma sempre più semplici da usare, potremo prenotare visite mediche e pagare le tasse al telefono parlando - letteralmente - con risponditori automatici in grado di capire le domande e di rispondere a tono; quello del 112 potrà addirittura riconoscere le emozioni, ovvero le voci più allarmate, per dare loro la precedenza. Fra due anni potremo parlare anche ai televisori, non solo per cambiare programma, ma anche per chiedere se per caso quella sera c'è un film del nostro regista preferito.
Immagino che tutte queste novità dispiaceranno a Geminello Alvi e a chi, come lui, ritiene che la tecnologia impoverisca l'io, omologhi e massifichi. Secondo me, la tecnologia impoverisce l'io di chi ce l'ha poverissimo, mentre arricchisce chi ne ha uno brillante di suo. Mi si potrà obiettare che l'io dei più non è brillante, e che quindi i danni superano i vantaggi, che le «protesi» tecnologiche d'aiuto ad alcuni atrofizzano la capacità dei più. Ma allora la responsabilità non è della tecnologia, ci sono altre cause all'origine; o «a monte», come si diceva una volta: ora che la pappagallesca espressione è caduta finalmente in disuso, si può ridarle la sua dignità espressiva. E a monte c'è la scuola, con la sua volontà livellatrice e appiattente; con il suo procedere sempre alla velocità dei più lenti, con la sua non-volontà di stimolare un pensiero autonomo. È un fenomeno così palese che non si può neppure dare la colpa agli insegnanti, come si fa di solito. Piuttosto diventa certezza il sospetto che gli Stati, per loro natura, non amino avere cittadini pensanti in proprio e che le scuole - di conseguenza - insegnino cosa pensare invece che a pensare.
Questa considerazione mi riconduce nell'alveo di Geminello, e a dargli ragione su tutto il resto, se possibile rendendo ancora più drastiche le sue considerazioni. Prima fra tutte quella per cui ha un gran futuro lo Stato dispotico, che ci eravamo illusi di avere sconfitto prima con la Seconda guerra mondiale e poi con il crollo del comunismo. L'autoritarismo, che avevamo cacciato attraverso la porta della democrazia, ci ripiomba addosso sotto le vesti dello Stato tutore, lo Stato che ti protegge da te stesso e dalle tue scelte esistenziali mostrando di volerti bene; e che - se non sei d'accordo - ti tutela con la forza, nel nome del superiore interesse comune: per cui, nel nome della sicurezza e della salute pubblica, se non faremo la dovuta resistenza, presto saremo costretti a girare con una maglietta della salute dotata di un microchip che comunichi a chi di dovere cosa facciamo e con chi. Una reazione possibile, e necessaria, è costituita dal pensiero e dal comportamento libertario, non a caso la forma meno declinata della parola «libertà» e indebitamente associata all'anarchia.
Ci dovrebbero insegnare qualcosa, in proposito, comportamenti e decisioni dell'Unione europea, che spacciando se stessa come unica salvezza dell'Europa e dei suoi abitanti, raddoppia sul cittadino il potere degli Stati nazionali. «L'euro e l'idea di uno Stato europeo», scrive Alvi, «non sono poi così diversi nella loro natura dallo Stato che Napoleone o Hitler volevano creare in Europa». A confermarlo, c'è un passaggio del testamento di Hitler: «L'Europa deve essere fatta nel comune interesse di tutti e senza considerazione alcuna per gli individui». Infatti l'Ue sta facendo passare come trattato quello stesso testo che francesi e olandesi hanno - libertariamente - bocciato come costituzione.
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