La scuola non parla più italiano: 50mila stranieri

Emergenza negli istituti del Milanese: 6mila iscritti in più rispetto al 2007, in certi casi gli immigrati arrivano all’85%, ma i fondi e gli insegnanti «facilitatori» sono sempre meno

La scuola statale milanese è sempre più multietnica. Per il prossimo anno scolastico negli istituti della provincia sono previsti 48mila iscritti non italiani: 6mila in più dello scorso anno. Una vera emergenza, con risorse sempre più inadeguate per fronteggiarla. «Nel 2000 – ricorda il sindacalista Pippo Frisone – avevamo a disposizione 200 insegnanti facilitatori, quelli che hanno il compito di favorire l’integrazione di questi alunni: un contingente che ora è calato a quota 94, mentre gli iscritti sono più che raddoppiati».
Difficile di conseguenza soddisfare le richieste delle scuole in queste condizioni. Per questo ieri mattina si è svolto presso l’Usp (Ufficio scolastico provinciale) di via Ripamonti un vertice dei rappresentanti sindacali con il dirigente Antonio Lupacchino, per stabilire come distribuire le poche risorse disponibili. Sta di fatto che alla fine molte situazioni critiche sono rimaste scoperte. «Bisogna che per il prossimo anno – ha ammesso Lupacchino - rivediamo i criteri per gestire questo problema sempre più complesso».
Il prossimo anno ci sarà, ad esempio, un plesso - quello di via Paravia - dove si registra la presenza di alunni non italiani all’85 per cento degli iscritti, ma nemmeno un insegnante facilitatore a disposizione. Com’è possibile? La scuola fa parte di un circolo didattico a cui è aggregato un altro plesso frequentato per lo più da bambini italiani: messi insieme i due plessi non fanno scattare il diritto al sostegno didattico. Su questa emergenza si sta intanto realizzando un’iniziativa di collaborazione fra amministrazione scolastica e amministrazione comunale. Per studiare le modalità di distribuzione di alunni e evitare il formarsi di scuole-ghetto, per intensificare la qualificazione dei docenti in modo da rendere più efficace il loro lavoro di integrazione. Già si parla di aprire dei laboratori specifici di alfabetizzazione specificamente rivolti ad alunni che si iscrivono senza conoscere l’italiano: superato questo handicap questi neoiscritti verrebbero poi inseriti in classi normali. Un primo passo per fissare una strategia di intervento più adeguata ai bisogni delle scuole. Perché questo è il problema più arduo e urgente da superare. Gli esperti lo sostengono da tempo, ma intanto l’amministrazione scolastica continua a fornire dati statici sul fenomeno per lo più vecchi di un anno, e soprattutto senza distinguere il non italiano che comunque da anni vive e frequenta le nostre scuole da chi è appena arrivato e manca di ogni capacità di comunicazione linguistica.

Il segretario della Cgil scuola, Attilio Paparazzo, ha inviato ieri al sindaco Letizia Moratti una lettera in cui tra l’altro scrive che «la difficoltà a comunicare genera ignoranza, l’ignoranza genera paura e la paura produce sentimenti di diffidenza o peggio di ostilità che la scuola può contribuire a combattere soltanto con interventi continuativi nel tempo, con personale esperto e non precario, con una flessibilità organizzativa che può essere assicurata soltanto da organici funzionali ai bisogni delle scuole maggiormente investite dal fenomeno migratorio». La richiesta è di intervenire presso il governo per trovare nuovi fondi.

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