«Scusate, mi sono rapito per pagare il mutuo»

«Scusate, mi sono rapito per pagare il mutuo»

nostro inviato a Bereguardo (Pv)

Paolo Friggi, titolare con i genitori di un bar gelateria a Motta Visconti, in provincia di Pavia, è crollato. Braccato da freddo, fame e paura, dopo esser sparito all’alba di lunedì sceneggiando un sequestro di persona, è ricomparso nel Parco del Ticino.
Alle prime ore di mercoledì, verso le 2.30, ferma due gazzelle dei carabinieri: «Sono Friggi, quello sequestrato, i miei rapitori mi hanno rilasciato». In caserma a Pavia, ai pm Alberto Nobili e Marco Venditti prova a rifilare un’ultima menzogna: «Ero uscito di casa per andare ad aprire il bar alle 4 e una banda di albanesi mi ha bloccato, portandomi via 450 mila euro che avevo in contanti». I magistrati non lo seguono, già sanno. «Friggi ma che ci faceva con tutti quei soldi in contanti in piena notte? Ci dica, per quanto ancora vuole andare avanti con questa storia?». Lui tentenna, quindi confessa. «Mi sono inventato tutto. Avevo finto il sequestro, schiacciato da 700 mila euro di debiti». E così è passato da vittima a indagato per simulazione di reato per quel centinaio di carabinieri per due giorni coinvolti a tempo pieno nelle indagini. «Non ce la facevo più - ha detto -. I tre mutui per la cascina con il tasso variabile erano lievitati complessivamente da 3 mila a 5.200 euro al mese. Ero disperato. Non sapevo più dove sbattere la testa. Sono mortificato e spero che tutti mi perdonino». Friggi era assillato: «Il mio terrore era quello di essere costretto a vendere la cascina, che era la realizzazione del sogno della mia vita. Avevo speso 400mila euro solo per ristrutturarla».
Il finto sequestro si doveva concludere senza il pagamento di un riscatto ma con un’improvvisa liberazione. Friggi voleva infatti solo impietosire i genitori: «Avevo deciso che non volevo mangiare, in modo da ricomparire emaciato e distrutto - ha raccontato - e suscitare così la compassione dei miei genitori».
Il piano, seppur folle e contraddittorio, prevedeva tre fasi. La prima, ovvero la diffusione di alcune menzogne. Spargere la voce in paese che aveva parecchi liquidi a casa e insinuare che era pedinato. Infatti, alla vigilia della scomparsa, agli avventori del bar aveva confidato che da qualche giorno era seguito da un misterioso furgone bianco. Ad altri aveva detto che a casa teneva una valigetta zeppa di banconote. All’impiegata della banca aveva invece assicurato che l’indomani avrebbe depositato 300 mila euro in contanti. Tutte bugie. La messa in scena prevedeva poi la fase esecutiva. Dall’individuazione di un nascondiglio adatto (un casa diroccata nel Parco a 3 chilometri dalla cascina di famiglia) alla simulazione vera e propria. Lasciare domenica la bici tra i cespugli per la fuga, dietro la piazzola dove poi si troverà l’auto, preparare le scarne provviste (7 litri di acqua e qualche bustina di zucchero). Quindi abbandonare l’auto, infilarsi due sacchetti di cellophane ai piedi per non lasciare tracce e sparire. L’ultima fase doveva essere quella della liberazione. Smagrito, distrutto, avrebbe raccontato la balla del sequestro per impietosire i genitori e ottenere altro denaro. Oltre, ad esempio, ai 250mila euro ricevuti dalla madre solo qualche mese fa come «anticipo di eredità» come spiega un inquirente.
Friggi coltivava l’idea da tempo. Già un anno fa, scherzando, ma poi mica tanto, si era rivolto alla madre: «Ma se per caso mi rapissero, tu daresti 500mila euro per me?». Lei rispose di sì. E il giovane iniziò a fantasticare. Sino a lunedì scorso con l’auto abbandonata a pochi metri di casa. Oggi, con Paolo che torna in famiglia, i parenti si dividono. La madre lo critica per non averle detto nulla.

La convivente Katia è telegrafica: «Siamo tutti molto contenti che fortunatamente sia finita bene. È molto commosso perché è tornato a casa, e noi eravamo tutti pronti ad accoglierlo». Ma un cugino si sfoga: «Che vergogna, questi problemi dovevano risolversi in famiglia».

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