Sdegno di Alfano: «Sui princìpi non ci si astiene» Il guardasigilli durissimo con centristi e finiani: «Mozione basata su fumisterie. Avete piegato alti valori come il garantismo ai tatticismi di un giorno». Poi avverte Pd e Idv: «Questo voto vi tor

RomaLa difesa di Angelino Alfano è totale, veemente, in certi passaggi anche duramente accusatoria sia verso chi chiede le dimissioni di Giacomo Caliendo con una mozione di sfiducia, sia verso chi lo sta indagando sulla base di «una fumisteria», sia verso chi si astiene dal voto, come i finiani, abdicando ai principi fondamentali del garantismo.
Nell’aula di Montecitorio semideserta il ministro della Giustizia prende la parola alla fine della discussione generale. E carica il voto a favore o contro il sottosegretario di tutto il suo peso politico, contestandone le basi giudiziarie. «Non c’è niente», ripete tre volte il guardasigilli. «Credo che la P3 sia, probabilmente, frutto di una costruzione di taluni pm e di una certa sinistra».
Ancora il legame tra toghe e opposizione, dunque, dietro agli attacchi al governo. Perché questo, ci tiene a precisarlo Alfano, è l’iniziativa della mozione di sfiducia per Caliendo. Una mozione «strumentale», basata su un’indagine che «si sta rivelando debole».
Il guardasigilli è appena uscito da un vertice a Palazzo Grazioli con Silvio Berlusconi e tutti i vertici del partito. Sa quanto pesa sulle sue labbra un giudizio del genere e precisa di non volere «entrare sul merito di una inchiesta aperta». Ma, riferendosi agli interventi precedenti e in particolare a quello del deputato Pdl Manlio Contento, non rinuncia a lanciare le sue stoccate.
Stoccate che si abbattono pesanti anche sul drappello dei finiani, unitosi a Udc e ad altri piccoli gruppi, nella scelta dell’astensione. «Sui principi non ci si astiene», tuona il ministro guardando i banchi al centro e a destra dell’emiciclo. «Noi difendiamo Caliendo, con lui difendendo un principio, che è quello della presunzione di non colpevolezza; con lui difendendo un valore, che è quello della legalità scritta nella Costituzione». In gioco, insomma, c’è ben altro che la testa di Caliendo e il ministro fa appello ad un voto di coscienza, criticando chi è pronto a «piegare al tatticismo di un giorno alti e nobili principi».
Con Pd e Idv, che hanno presentato la mozione di sfiducia, Alfano usa toni minacciosi. Li accusa di aver sbagliato e prevede che la loro mossa si trasformerà in boomerang. «Un punto cruciale dal quale non vi potete sottrarre, è che state affermando in quest’aula, e vi tornerà indietro, prima o poi, con il tempo, che chi è iscritto nel registro degli indagati deve dimettersi». Poi evoca atmosfere giustizialiste degli anni ’90 e ricorda i casi di politici accusati e poi prosciolti o assolti dalla magistratura.
Questo principio il Pdl è deciso a non farlo passare a nessun costo e se ne capiscono bene le implicazioni. Alfano rivendica la presunzione di innocenza «per ogni cittadino, membri del governo compreso» e attacca chi vuole la sfiducia «a prescindere» dalla responsabilità, «per un solo avviso di garanzia». Il «nesso di casualità» con l’indagine della procura romana è evidente, per il ministro, anche se dal Pd dicono ora che le dimissioni le avevano chieste prima dell’iscrizione nel registro degli indagati, quando è diventata di dominio pubblico la vicenda del pranzo a casa Verdini.


Il guardasigilli ha finito, ribadisce che Caliendo «deve continuare a svolgere il suo lavoro, perché lo consideriamo un uomo del governo che mai si è sottratto ai doveri del proprio ufficio e che mai ha agito contrariamente ad essi». E annuncia il voto contrario del governo alla mozione. Mentre Caliendo si salva, divampano le polemiche da Pd e Idv sull’attacco «eversivo» del ministro a toghe e Parlamento.

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