Se Davide si traveste da sedicenne e dà scacco matto a Golia

L’italiano è un po’ fatto così: salta sul carro del vincitore ma tifa per il perdente. Gli piace vincere facile ma impazzisce per l’impresa impossibile. Scommette sul numero che non uscirà mai, sul risultato che non è mai uscito, non si fida di niente e di nessuno ma è pronto a credere a tutto. Adora storie come questa: perchè sono il trionfo della speranza sulla circostanza. E dove la cronaca si rovescia.
Il baffutissimo Grand Master Eduardas Rozentalis si è presentato al torneo internazionale Chess Open di Pieve di Cento decorato come un generale dell’Armata Rossa. Quarantotto anni, lituano ma di scuola sovietica, otto volte olimpico, sette delle quali in prima scacchiera, pensava di sbarazzarsi in poche, annoiate, mosse della ragazzina dall’aria saputella che si era trovato di fronte a tradimento, che di nome fa Marina, di anni ne ha appena compiuti sedici e nel tabellone degli iscritti occupa il numero 55. Fa il terzo anno di liceo scientifico sul lago d’Iseo, sa a memoria tutte le canzoni di Fabrizio Dè Andrè e non sa ancora di far parte di qualcosa di grande. Lo scopre sette ore dopo, con la fiducia testarda che soltanto i piccoli sanno di avere. Cinquanta mosse e Davide si è ritrovato in ginocchio di fronte a Golia, sconfitto da una ragazzina. Lo diceva anche Fabio Volo: non è vero che per farcela ci devi credere, per farcela te ne devi fregare.
Se ne è fregata anche Federica Cudia che ora ha 22 anni, ma che a 17 dopo aver conquistato per cinque anni successi a raffica nei tornei per disabili ha cominciato dal trofeo del Mediterraneo a far fuori anche quelli che chi parla bene definisce normodotati. A ping pong. Ne ha eliminati cinque su sette. Lei che è seduta su una carrozzina. Gli altri correvano a destra e sinistra del tavolo e lei li fulminava con rasoiate secche: «Sennò che gusto c’è a vincere?...».
Tutti abbiamo dei super poteri segreti. E chi non combatte per paura di perdere, finisce per perdere sempre. Luca DiGesù per vincere la sua di partita non ha avuto bisogno, a dispetto del nome, di santi in paradiso. Fa il panettiere ad Altamura di Puglia e le sue focacce, le sue pizze e il suo pane tipico sono così buone da costringere il colosso americano dell'hamburger, cioè McDonald’, a chiudere per mancanza di clienti. Se ne occupò persino il «New York Times», si parlò di un film, «Focaccia Blues», ispirato alla trama più italiana del momento. C’è chi giura che la storia fosse inventata e chi invece ci vuole credere a tutti i costi, ma quante volte si finisce di credere a una cosa solo perché si vorrebbe fosse vera?
Vero è invece che gli abitanti dell'isolotto di Vieques, a Portorico, hanno piegato, dopo lunga battaglia, gli Stati Uniti d’America in persona: per 60 anni le navi e gli aerei Usa hanno tempestato di colpi il poligono recintato creato nei due terzi dell'isolotto ottenuto in concessione dal Pentagono. Ma solo i rapporti allarmati sui danni alla salute dei novemila isolani provocati dai residui chimici degli ordigni hanno scatenato la rivoluzione dei lillipuziani. George Bush, c’era ancora lui, si è visto così costretto a mettere fine al bombardamento più lungo della storia. «I nostri amici portoricani non ci volevano piu...» l’epitaffio del presidente Gulliver.
Non è (ancora) andata così a Monteleone di Spoleto, 680 anime nella Valle del Corno, che ha chiesto senza ottenere finora soddisfazione, al Metropolitan Museum di New York la restituzione di una biga del VI secolo trafugata dall'Italia all'inizio del Novecento.

E al pastore iracheno Abud Sarhan, 71 anni, che pretende dall’ex ministro americano della difesa Donald Rumsfeld il risarcimento per i suoi 17 familiari e delle sue 200 pecore, fulminati da un missile poco intelligente. E sapete come dicono gli americani: impossible is nothing...

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