Se i genitori preferiscono il web ai figli

Secondo un sondaggio un adolescente su quattro si sente trascurato da mamma e papà: "La loro passione è internet, non siamo noi". Il 90 per cento di loro perde tempo a chattare sui socila network

Se i genitori preferiscono il web ai figli

Quei due mi stanno troppo davanti al computer: la preoccupazione di molti genitori è ormai anche quella di molti figli. I ragazzini ci tengono d’occhio e sono portati alle più amare conclusioni. Stando a un freschissimo sondaggio, condotto dall’Osservatorio sui diritti dei minori, un adolescente su quattro si sente trascurato, meglio, relegato al posto numero due nella vita domestica: al primo, i suoi mettono il rapporto umano con Internet.
Non dimentichiamolo: lo studio è su un campione di cinquecento ragazzi. Per giunta, sappiamo benissimo che qualcuno di loro può aver risposto al questionario con piglio goliardico o con furore vendicativo, mettendo in croce padre e madre per le colpe attribuite abitualmente ai teen-ager. Ma una volta fatta la tara, non possiamo nasconderci - noi adulti - che i dati confermano una sensazione per niente sorprendente e strampalata. Tanti di noi, troppi di noi, quando sono in casa vivono lo stordimento assente della comunicazione virtuale, via computer, magari non prima di aver strepitato come aquile proprio contro di loro, i nostri ragazzi, studia invece di stare sempre davanti a quel maledetto computer, o almeno esci, vedi qualcuno, parlaci a quattr’occhi, io alla tua età avevo la compagnia con un sacco di amici, adesso siete soli e infelici, come si fa ad avere un rapporto vero via Facebook?
Ecco, prima lanciamo nell’etere la nostra bella paternale, tratta dal manuale del bravo genitore, liberamente ispirato ai pensosi interventi dei Crepet sulle poltrone di Vespa, dopo gli efferati delitti familiari nelle villette a schiera di provincia, quindi sbattiamo la porta e andiamo a metterci davanti al computer. Non tutti, non sempre: non è che adesso dobbiamo sentirci in colpa per il solo fatto di mandare una mail. Restiamo a qualcuno di noi, a molti di noi. Per intenderci, a quei genitori che il 67 per cento dei ragazzi intervistati denuncia «in navigazione» mediamente quattro ore al giorno, quando stanno tra le mura domestiche. Sono tantissime: se consideriamo che il logorio della vita moderna ci vede in casa molto poco, quattro ore davanti al computer sono un’enormità. Abbinando il dato alla fatica che facciamo a parlare un quarto d’ora con loro, o a farci un giretto per il quartiere, o ad accompagnarli in qualche commissione, queste quattro ore con la testa altrove non sono soltanto un’enormità: diventano un delirio.
Via, che cosa diavolo padri e madri facciano davanti al video lo sappiamo benissimo. Dieci per cento: cose utili come cercare alberghi per le vacanze, consultare turni di farmacie, stampare certificati anagrafici, mandare mail a parenti lontani, pagare bonifici bancari. Novanta per cento: cazzeggio allo stato brado (chiedo scusa per il termine, ma resta il migliore). Il videogioco per bimbi adulti, Facebook, la linea hot-chat, Google senza meta precisa, il sito Bmw, le foto porcelle, gli indignati commenti nei Blogg, qualche adulterio più o meno platonico, tutto «de testa»: questo, per il novanta per cento delle quattro ore, mediamente facciamo. Casualmente, la metà dei ragazzi intervistati confessa che i propri genitori usano un computer tutto loro, in una stanza tutta loro, dalla quale ogni tanto arrivano urla del tipo «ho capito che è pronto, sto facendo una cosa, non mi rompete l’anima almeno in questi cinque minuti (quattro ore, ndr) solo per me». Casualmente, gli stessi ragazzi - evidentemente meno ebeti di quanto crediamo noi - nutrono il sospetto che papà e mamma facciano al computer qualcosa di non proprio normale: se devono ordinare i bicchieri all’Ikea, si domandano, c’è bisogno di barricarsi come giapponesi nei bunker atomici?
Poi ovviamente ci chiediamo perché. I nostri figli si perdono con espressioni allucinate e anime perse dentro il Web, e noi ci chiediamo perché. I nostri figli non hanno voglia di fare cose fuori, tra i loro coetanei, se non bere roba pesante dopo le undici di sera, e ci chiediamo perché. I professori ci chiamano a scuola per raccontarci che i nostri figli non sono quelli immaginati, e ci chiediamo perché. Di più, può succedere: i nostri figli in branco pestano handicappati, stuprano ragazzine, devastano scuole di notte, riprendendo regolarmente col telefonino le imprese scopo YouTube, e noi ci chiediamo perché.
Ovviamente non è il caso di assolutizzare: vorrei evitare che qualcuno di quelli delle quattro ore al giorno mandasse il solito insulto per chiarirmi come suo figlio sia perbenissimo, intelligentissimo, educatissimo. Ma quando molti di noi si chiedono perché qualcosa succede, anche solo uno sguardo vuoto e infelice del proprio ragazzo, forse sarebbe il caso prima di fare un lungo respiro, per poi chiedersi la cosa vera: io dov’ero? Solo questo. Troppe parole, troppi luoghi comuni, troppe frasette perfettine sprechiamo per educare i nostri ragazzi. Ma per quanto possiamo parlare, la regola non cambia: crescendo, loro diventano prima di tutto quello che vedono e quello che sentono nel pianeta-casa.

È l’effetto-spugna: assorbono e rilasciano. L’uomo che sarà, verrà da qui. Può essere che un domani quello stesso uomo, immaginando i genitori, riesca a vederli soltanto come li ha sempre visti durante le quattro ore di computer: girati di spalle.

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