Roma - Nemmeno la manovra lacrime e sangue riesce a tenere insieme i sindacati. Le principali confederazioni, Cgil, Cisl e Uil, sono sul piede di guerra contro il governo, ma anni di strategie e idee divergenti pesano.
Ieri il solco è emerso prepotentemente quando Cisl e Uil hanno annunciato, in una conferenza stampa dei segretari generali Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, uno sciopero contro il decreto che l’esecutivo ha approvato domenica, senza passare, né per la concertazione anni Novanta, cara alla sinistra, né per il «dialogo sociale», la versione inaugurata dai governi di centrodestra. «Non ci faremo commissariare come la politica», ha sottolineato il leader Cisl Bonanni. «Lunedì chiediamo ai nostri scritti un’uscita dal lavoro due ore prima, una sorta di sciopero-protesta per recarsi presso le prefetture per reclamare con forza l’esigenza di aprire un negoziato».
Un gioco a parti rovesciate (negli ultimi anni è sempre stata la Cgil a proclamare scioperi, in solitaria), che non è piaciuto affatto a Susanna Camusso. La segreteria di Corso d’Italia ha affidato la sua collera a un post sulle pagine ufficiali dei social network, tutto contro Cisl e Uil. Poi il rilancio Cgil: sciopero, sempre lunedì prossimo, ma di quattro ore, contro la manovra considerata un «colpo durissimo» ai lavoratori.
I motivi di attrito sui contenuti sono gli stessi per tutto il sindacalismo.
Ai sindacati non va giù la riforma delle pensioni, in particolare la «pensione anticipata» (ex anzianità) che fa restare al lavoro anche i lavoratori precoci. Prima bastavano 40 anni di contributi, dal prossimo anno 41 per le donne e 42 per gli uomini. Contrarietà totale sulla non indicizzazione delle pensioni, il sacrificio annunciato tra le lacrime dal ministro Elsa Fornero. No anche alla stretta sul fisco, che - osserva la Cgil - colpisce «i soliti noti». Sulla stessa linea ci sono anche gli autonomi come la Confsal e anche l’Ugl.
Ma a dividere la Cgil dagli altri è una questione profonda di metodo, non mera strategia. La spiegazione di Bonanni è in sindacalese, ma è chiarissima: «La Cgil chiede di discutere e gli diciamo se sono disponibili a una trattativa con il governo. Siccome siamo davanti a un attentato al sindacalismo confederale o si ha contezza della situazione e si rimedia con la richiesta di una contrattazione vera, altrimenti marceremo divisi».
La Cgil, in sostanza non sente la necessità di aprire un confronto con il governo, anzi, preferisce non sporcarsi le mani aprendo una trattativa con Mario Monti che finirebbe necessariamente con qualche conquista e - vista la situazione - molte concessioni da parte del sindacato. Il governo, da parte sua, è ben contento di tenere lontani i sindacati e ha già messo nel conto scioperi e proteste, come inevitabili, se non come un sigillo a garanzia del rigore, anche gli occhi dell’Europa.
La Cgil non ci sta. E vede nella decisione di mantenere in piedi l’alleanza del sindacalismo riformista come «continuità con la «strategia del sottoscala», cioè il tentativo di escludere il sindacato della sinistra, che Corso d’Italia considerava una strategia dell’ex ministro del Lavoro. «Abbiamo scoperto da chi aveva imparato Sacconi», dicono oggi i dirigenti Cgil, rovesciando su Bonanni la volontà di escluderli.
In ballo c’è anche la strategia politica dei sindacati. La Cgil resta legata al Pd, che è a sua volta vincolato in quanto azionista di maggioranza del governo.
La Cisl e la Uil - che presto incontreranno tutti i partiti - hanno punti di riferimento trasversali. Parlamentari nel terzo polo, nel Pd e nel Pdl, pronti a fare valere le loro ragioni, quando si tratterà di convertire il decreto lacrime e sangue in legge.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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