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Se la Kirchner fa il doppiogioco con gli ayatollah

Tutti stiamo qui a chiederci «che si fa con l’Iran?» ora che forse addirittura la bomba è alle ultime fasi di montaggio oppure sta già negli scantinati degli ayatollah. Le sanzioni basteranno? A chi? Alla banca centrale? Ai privati? Da chi? Multilaterali? Bilaterali? E se non basteranno, allora occorre considerare l’ipotesi militare prima che l’arma atomica ci metta in stato di ricatto senza speranza, in balia oltre che dell’Iran stesso anche della Siria, degli Hezbollah, di Hamas? Il mondo se lo chiede. Ma alla solita compagnia della Cina, della Russia, della Corea del Nord ecco che, fra quelli cui non importa, arriva l’Argentina. La presidente Cristina Fernandez Kirchner dichiara che vuole impegnarsi nel dialogo con l’Iran, dato che gliel’ha chiesto, noblesse oblige.
Quando Ahmadinejad all’Onu minacciava Israele e Usa, sotto gli occhi attoniti dei delegati occidentali che uscivano alle sue parole il delegato argentino Arguello, che la volta prima se ne era andato, è rimasto in ascolto. Un diplomatico occidentale ci dice che su molte questioni l’Argentina fa affari e politica con l’Iran. É l’atteggiamento adottato da Chavez in Venezuela, e da Evo Morales in Bolivia: appoggiando l’Iran pensano a una rivincita antioccidentale. Ma l’Argentina paga un prezzo inaffrontabile: nel 1994 un attacco terroristico al Centro Ebraico di Buenos Aires uccise 85 persone; due anni prima l’ambasciata israeliana esplose, 29 morti. La rivendicazione della Jihad Islamica portò sulla tracce degli Hezbollah e dell’Iran. Dopo molti silenzi il presidente Kirchner dieci anni dopo riaprì il caso, e Rafsanjani divenne ufficialmente un indagato. Oggi i sospetti sull’Iran sono condivisi da tutto il mondo occidentale anche se difficilmente li vedremo tradotti in arresti. L’Iran ha gonfiato il volume del commercio con l’Argentina fino a un miliardo e mezzo di dollari l’anno.

Tutti quei morti non avranno giustizia, e l’Iran ha un sostenitore dei suoi diritti atomici che minacciano il mondo.

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