Livio Caputo
Agli occhi dei cittadini, i negoziati che dovrebbero condurre alla sospensione dellarricchimento delluranio da parte dellIran - ormai sul punto di entrare nel quarto anno - somigliano sempre più a una presa in giro. Tra offerte e controfferte, proposte e minacce, interventi del Consiglio di Sicurezza e sdegnose repliche degli ayatollah, siamo sempre al punto dinizio: senza negare esplicitamente che il processo in corso potrebbe sfociare nella costruzione di una bomba, Teheran insiste che procedere con larricchimento a fini pacifici è nel suo pieno diritto e che non ha alcuna intenzione di abbandonarlo. Neppure le ultime mosse occidentali - disponibilità degli Stati Uniti a partecipare a un negoziato multilaterale e offerta di un consistente pacchetto di aiuti economici e tecnologici, presentata personalmente dal ministro degli Esteri della Ue Solana - hanno scosso lintransigenza degli ayatollah. A una cauta apertura del capo-negoziatore Larijani («Le nuove proposte contengono alcune cose positive e alcune ambiguità che devono essere eliminate») hanno fatto riscontro commenti molto più duri di altri esponenti del regime e addirittura la minaccia dellautorità suprema, layatollah Khamenei, di ricorrere allarma del petrolio se lOccidente «farà il più piccolo errore». Limpressione è che lIran voglia comunque alzare ancora molto il prezzo, nella convinzione che - al momento - le circostanze gli assicurino una virtuale immunità.
Nella tattica del «bastone e della carota» praticata dai negoziatori occidentali la componente bastone è infatti debolissima: Russia e Cina, che godono del diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza, hanno ripetutamente fatto capire che non intendono mettere a repentaglio i loro rapporti economici con Teheran adottando le sanzioni proposte da Washington; il gruppo dei Paesi non allineati nellAgenzia atomica internazionale ha ufficialmente sostenuto il diritto dellIran a sviluppare un proprio potenziale nucleare e definito una eventuale azione militare contro i suoi impianti «una grave violazione del diritto internazionale». Lopzione bellica viene peraltro giudicata impraticabile pressoché da tutti, se non altro per la tempesta che unoffensiva contro un Paese che fornisce il 3 per cento del fabbisogno energetico mondiale scatenerebbe sui mercati petroliferi.
Questa oggettiva impotenza ha indotto gli Stati Uniti ad ammorbidire gradualmente le sue posizioni: prima ha dato luce verde a Francia, Gran Bretagna e Germania perché tentassero di raggiungere un compromesso, ora ha accettato di mettere fine a 26 anni di boicottaggio e partecipare in prima persona al processo negoziale se Teheran accetta di sospendere il processo di arricchimento in attesa di un accordo onnicomprensivo. Non siamo ancora alla trattativa bilaterale che - secondo molti analisti - sarebbe lobiettivo degli ayatollah, ma ci stiamo gradualmente arrivando. Qualcuno sta già ipotizzando un «grande baratto»: in cambio della rinuncia di Teheran ad arricchire luranio e a sostenere il terrorismo internazionale, Washington dovrebbe concedere il pieno riconoscimento del regime degli ayatollah, un trattato di non aggressione, lingresso nellOrganizzazione mondiale del Commercio e la fornitura di tecnologia nucleare che permetterebbe agli iraniani di dotarsi di centrali per la produzione di energia elettrica, ma non dellarma atomica. Ma, oggi come oggi, si tratta del sogno di una notte di mezza estate, per la cui realizzazione non esistono né i presupposti, né le condizioni. «La verità - sostengono gli scettici - è che non sappiamo neppure chi ha davvero lautorità di trattare, perché gli esponenti del regime si contraddicono luno con laltro».
Per lIran cè senza dubbio anche un problema di faccia. Nel tenere apertamente testa al «grande Satana» e ai suoi alleati, gli ayatollah hanno acquisito grande prestigio nel mondo islamico più radicale.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.