Se la libertà di stampa è a targhe alterne

di Paolo Granzotto

Ma dove sono i tenori della libertà di stampa e del diritto di critica? A fare i gargarismi? Dov’è la società civile per la quale l’articolo 21 della Costituzione che garantisce la libertà di espressione e di informazione è un nervo scoperto, pronto a contrarsi e a dolere - oh, quanto! - a ogni stormir di fronda censoria? Al mare, per la prima tintarella di stagione? Travagli, Grilli, Mauri, Flores d’Arcais, Padellari, Concite, Santori, Dipietri, Binde, Bonine e Pannelli, Maltesi, Giulietti, Veltronidi, Luttazzi, Serri e Sofri niente niente vi è andata giù la voce? O fate finta di non sapere? Alfredo Gasponi, miei cari Tartufi, seguita a non dirvi niente il nome di Alfredo Gasponi? Condannato in solido con il Messaggero, quotidiano sul quale scrive, a sborsare due milioni e mezzo di euri per aver riportato una sferzante critica rivolta da Wolfgang Sawallisch all’Orchestra di Santa Cecilia. Articolo che nel richiamo di prima pagina era sintetizzato in quel «A Santa Cecilia non sanno suonare» che molto inviperì i suonatori i quali, per dimostrare di saperci invece fare assai coi loro strumenti, adirono lesti le vie legali.
Al cospetto della maestà della legge noi siamo usi chinare il capo. Se la Corte d’appello ha sentenziato che non dico un critico musicale come Gasponi, ma un maestro del calibro di Sawallisch non abbia il diritto di giudicare la qualità musicale di un’orchestra sinfonica, così sia. Chi non lo sa che ci sono delle ragioni giuridiche che la ragione non intende? È dunque alla task force libertaria in servizio permanente effettivo che rivolgiamo l’appello. È ai paladini del diritto-dovere di cronaca che si riflette nel diritto dei cittadini all’informazione, ai quali suoniamo la diana. Gli stessi che si mobilitarono, riempiendo di firme gli appelli e di militanti le piazze allorché colpita da querela fu, per mano del Cavaliere, la Repubblica. «Ci troviamo di fronte a un’indegna strategia d’intimidazione», sbottò allora Dario Franceschini. «È di primaria importanza difendere la libertà di stampa», gli fece eco Ignazio Marino. E la sedicente società civile e le elette schiere intellettuali e la Federazione nazionale della stampa e l’Ordine dei giornalisti a cantare in coro la stessa melodia. Mentre intanto lo svelto Di Pietro mobilitava il Parlamento europeo presentando una risoluzione sulla libertà di stampa perché, appunto, Berlusconi aveva avuto l’ardire di querelare quel gioiello del quotidiano di largo Fochetti.
Sollevarono un can-can mica da ridere, allora, tutte quelle belle coscienze critiche, democratiche e progressiste. E ora, nemmeno un girotondo? Nemmeno un accenno a un tutti giù per terra in difesa del diritto-dovere di cronaca (sempre ricordando che come recita l’articolo 52 del Codice penale l’esercizio di un diritto esclude la punibilità)? E dunque della mai abbastanza idolatrata libertà di stampa? Questo silenzio - peggio: questo disinteresse - della parte così detta sana della nazione (per non parlare dell’europarlamento) sul caso Gasponi non è che indigni, siamo abituati a ben altro. Fa proprio schifo. Fa schifo il dover per forza di cose convivere - e non solo professionalmente - con una masnada di ipocriti e intellettualmente sleali di tal fatta.

Con questi commedianti, con questi buffoni che si compiacciono di giocare al bravo democratico con lo stesso animo con il quale le escort se la tirano da gentildonne. E adesso, per ridirla con Franceschini, querelatemi tutti.

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