Se ne va De Siervo, tre mesi a tutto comizio

RomaSta per chiudersi, alla Corte costituzionale, la breve ma rumorosa stagione del presidente Ugo De Siervo. Il suo mandato di 9 anni scade il 29 aprile, giorno in cui ha assunto nel 2002 le funzioni alla Consulta, eletto dal Parlamento in seduta comune per il centrosinistra.
Ma già questa settimana non dovrebbe più presiedere il plenum al Palazzo, al massimo potrebbe partecipare alla seduta di martedì. La regola, infatti, consiglia di astenersi nell’ultimo periodo perché ogni decisione su una causa dev’essere discussa, approvata e scritta dallo stesso collegio. Il che imporrebbe a De Siervo di non salire sullo scranno più alto per evitare il rischio che si arrivi a una sentenza quando lui ha già lasciato il suo ruolo.
Per il voto del nuovo presidente la Consulta aspetterà un mese, in modo da consentire alle Camere di eleggere il successore. Anche se le prime tre sedute sono già state fissate dal 14 maggio, le probabilità che si trovi un accordo politico sono però basse. Il Pdl, che in ogni occasione denuncia lo squilibrio a favore della sinistra tra i 15 giudici della Consulta, è intenzionato a contestare il fatto che tocchi all’opposizione indicare il nome. Ma per l’elezione è necessario un quorum alto e così può passare molto tempo, com’è già accaduto, perché il nuovo giudice arrivi a Palazzo.
Intanto, la Consulta sceglierà il presidente. Per anzianità toccherebbe a Paolo Maddalena (il più vicino all’opposizione dei candidati), ma avrebbe solo due mesi. Segue il moderato Alfio Finocchiaro, che scadrebbe a dicembre. Ma buone speranze potrebbe avere Alfonso Quaranta, tanto stimato da avere perso per un solo voto al ballottaggio con De Siervo, a dicembre.
Iniziò allora una presidenza particolarmente rumorosa, come s’è detto, per le tante dichiarazioni di taglio politico, in convegni e alla stampa. De Siervo non si è tirato indietro neppure quando si trattava di rispondere direttamente a critiche del premier e del Pdl, suscitando sconcerto e polemiche. In questi tre mesi il riserbo non è apparsa la dote principale del sessantottenne professore fiorentino di diritto costituzionale. Significativo il debutto a metà gennaio, dopo la bocciatura parziale del legittimo impedimento. Disse a un giornale, alla faccia della riservatezza: «Sono molto contento, anche perché sulla decisione si è formata una larga maggioranza». A fine marzo, si attirò dal Pdl l’accusa di «arroganza istituzionale» affermando che il parlamento «non fa più le leggi», ma troppi decreti legislativi. Qualche settimana prima aveva già attaccato le Camere, parlando di «errori a raffica» e sottolineando che la Costituzione è «sopra tutti, anche del premier» e che «si può cambiare, non peggiorare». Il tutto con un invito ai cittadini a difendere la Carta. Clamorosa poi, i primi di febbraio, la sua battuta sul federalismo municipale che è «una bestemmia», fatta mentre Giorgio Napolitano respingeva al mittente il provvedimento del governo sul federalismo fiscale. La settimana dopo, all'annuale conferenza stampa, De Siervo affermò che è «denigratorio e gravemente offensivo» sostenere che i giudici della Consulta non sono imparziali, ma politicizzati: «Di bolscevichi qui non ce n’è nessuno».

Il mese scorso, senza citarlo replicò a Berlusconi: «C’è un esponente politico, di cui non farò il nome nemmeno sotto tortura, che polemizza con la Corte Costituzionale, parlando di esponenti comunisti. Non si capisce però da dove trae queste affermazioni». Insomma, un fiume in piena. Con una direzione ben precisa. E magari l’obiettivo di prepararsi un nuovo futuro, non da semplice «emerito» pensionato.

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