Cronache

«Se non avesse mediato sarebbe diventato ministro»

«Se non avesse mediato  sarebbe diventato ministro»

«Un genio. In tutti i sensi. E quindi, dovrei dire anche: genio e sregolatezza»: Alberto Gagliardi ricorda così, di getto, i tratti essenziali di don Gianni Baget Bozzo cui era legato da salda e antica amicizia fin dai tempi della rivista Renovatio - «io ci mettevo il contribuito di comunicazione giornalistica, lui quello, fondamentale, della cultura teologica» - e, successivamente, lungo il percorso politico in Forza Italia.
Spirito libero, dunque.
«Aggiungerei, per quanto possa sembrare un paradosso quasi irriverente: era un liberale libertario, nell’accezione autentica del termine. O se vogliamo: un anarchico libertario».
Comunque, sempre controcorrente. Eppure, all’inizio, andava d’accordo con Siri...
«L’allora cardinale arcivescovo lo stimava apertamente, tanto da affidargli la rivista di teologia e cultura della Curia genovese quando Baget Bozzo non era ancora sacerdote».
Lo sarebbe diventato più tardi.
«Un anno dopo, nel 1967. Lo ordinò Siri, alla presenza di monsignor Dossetti, La Pira, Fanfani, Gedda, Adamoli e Doria».
Rappresentanza trasversale.
«Era stimato e rispettato da molti. La sua autorevolezza era riconosciuta. E Renovatio, che si batteva contro le esasperazioni post conciliari, gli fu affidata per questo, oltre che per il suo rigore intellettuale e la straordinaria lucidità di esposizione».
Il vostro sodalizio è iniziato lì.
«... ed è proseguito, anni ’70, nella redazione del mensile “Il Potere“ di cui ero direttore. Scrivevano Filippo Peschiera e Bruno Orsini. E lui firmava con vari pseudonimi. Era già don».
Poi sono venuti i libri, su incitamento di Gagliardi.
«Il primo, “Chiesa e utopia“ guardava all’universo giovanile, il successivo, “Storia della Dc“, parlava dell’Italia dal ’44 al ’54. Praticamente, li ho visti scrivere: era velocissimo».
Da lì, l’approdo allo scenario nazionale.
«Lo scambio di lettere con Scalfari, la collaborazione con Repubblica, poi, all’epoca del rapimento Moro (lui era per la trattativa), lo cercano Michele Tito, direttore del Secolo, e Ugo Intini, al vertice del Lavoro che gli fa conoscere Craxi».
Tanti percorsi che lei, Gagliardi, ha seguito e condiviso.
«Al di là dell’identità di vedute. Mi ha dato consigli, mi ha sostenuto nel mio percorso di coordinatore cittadino di Forza Italia, di deputato, di sottosegretario agli Affari regionali».
Qualche frizione c’è stata.
«È sempre stato un rapporto sincero, aperto. Mi disse un giorno. “Ognuno si sceglie un autore, Alberto è un personaggio di Celine“. Il senso era questo».
Un pregio e un difetto di don Gianni.
«Prima il difetto, si fa per dire: aveva un po’ di “arroganza intellettuale“. Il pregio: era “l’intellettuale“. Se avesse mediato, sarebbe diventato almeno ministro. Ma era un personaggio senza compromessi. E mi lascia, tra i tanti, anche questo insegnamento: di non scendere mai a compromessi.

Nemmeno per un alto incarico».

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