Il re si candida presidente, il genio imperfetto senza patria e senza legge ora vuole ordine e geometrie, una repubblica che giochi per gli altri, un popolo che faccia squadra. Ci credete? Peggio per voi. Eric the King, come Napoleon, francese fino in fondo non si è sentito mai, la sua Sant’Elena è stato il Regno Unito, per il marsigliese esiliato e maledetto gli inglesi hanno solo avuto l’amore che si deve a un imperatore, meglio lui di George Best, di David Beckham, di Cristiano Ronaldo, meglio lui di chiunque altro per Manchester e lo United, miglior calciatore del secolo, unica maglia numero sette, negli anni in cui la Francia lo metteva al bando dalla nazionale, dopo Platini, prima di Zidane. Se gli chiedi per chi tifi ti dice Inghilterra, mai Francia: «Era amore e l’ho ricambiato. Ci si domanda perché si ama? Non credo proprio».
Cantona che parla troppo, vive troppo, piace troppo, scende in campo, annuncia, lui che del campo è stato il re, sulla fascia sinistra, lui che mancino naturale non è mai stato, il vizio di stare sempre dalla parte sbagliata, ma di divertirsi un mondo. Ma non è vero, è una finta delle sue, un modo di attirare su di se l’attenzione dell’avversario come ai vecchi tempi, un’operazione mediatica che ha il solo scopo di aiutare l’associazione Abbè Pierre, che lavora per i senzatetto. Punta dritto all’Eliseo, abboccano alla finta, vuol giocarsela contro Sarkozy e Hollande, un po’ Beppe Grillo, un po’ Celentano, un formidabile rompipalle che sparge i semi di una ribellione disarmata. Ha scritto ai sindaci di Francia un messaggio «solidale e potente», ma ambiguo e provocatore, con lettera intestata «Eric Cantona, cittadino impegnato» attraverso il comunista Liberation per chiedere le cinquecento firme che servono per candidarsi, pochi punti, uno più indignados dell’altro: i giovani, le ingiustizie «troppo numerose, troppo violente, troppo sistematiche».
Ma anche dovesse raccogliere le firme non si candiderà, ridono i suoi. É fatto così: ipnotizza l’attenzione, attira ciò che non è normale, più bullo in doppiopetto che bello e dannato. In campo vedeva dove gli altri non riuscivano a guardare, ma adesso non ci prende più tanto. Alla fine dell’anno aveva lanciato un appello: ritirate i soldi dalle banche, sono la rovina del mondo, apocalittico come i suoi gol, appassionato come i suoi furori, lui che è finito in galera per aver preso a calci un tifoso sulle tribune. Non l’hanno seguito granchè. Ma erano francesi.
Non ha sprecato nessuna passione, the King, e si è fatto molte reputazioni: «Per strada mi dicono: a Manchester sei stato grande. Però anche: che bello il tuo film». Recita a teatro in coppia con la moglie Rachida Brakni, che ha dieci anni di meno e sangue algerino, interpreta se stesso al cinema ne «Il mio amico Eric» di Ken Loach, così come faceva nella pubblicità della Nike, disintegrava il mostro con un destro, tirandosi su il bavero come Humprey Bogart, il suo marchio di fabbrica: «É stato un caso, una volta alzai il colletto e vincemmo. Divenne una scaramanzia».
La politica è il nuovo pallino di chi ha vissuto di pallone. Gli ultimi acquisti di una squadra che ha già avuto Pelè, Rivera, Romario, Blohin, sono Cafu, che il ministro dello Sport di Brasilia, Aldo Rebelo, ha voluto come sottosegretario con delega al calcio, e Kakhaber «Kakha» Kaladze che ha fatto ticket con l'uomo più ricco della Georgia Bidzina Ivanishvili e fondato un partito, il «Georgian Dream», il sogno georgiano, che aha un solo sogno in realtà, sgretolare il regime del presidente Mikhail Saakashvili. Non va mai quasi bene.
George Weah, che nel sei anni fu sconfitto al ballottaggio dal Nobel per la pace Ellen Johnson-Sirleaf, ci ha riprovato come vice di Winston Tubman ma ha perso ancora. «Ho un modo infallibile per calciare i rigori - scriveva Cantona nel suo libro di aforismi - li metto dentro». Il genio è semplicità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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