Se Romano finisce a giudizio perché è ministro "Resto a testa alta per tutelare il mio nome"

Il titolare dell’Agricoltura sotto inchiesta per mafia sebbene l’accusa ne abbia chiesto l’archiviazione: "E' un attacco strumentale, se non avessi salvato il governo ora non sarei in questa situazione". Lo scontro col presidente della Camera: "Fini chiede le mie dimissioni? E' lui a essere inopportuno"

Se Romano finisce a giudizio perché è ministro 
"Resto a testa alta per tutelare il mio nome"

«Ho la coscienza a posto, sono convinto di aver subito un’ingiustizia e le richieste delle mie dimissioni sono strumentali. Se il 14 dicembre io, insieme ad altri, non avessi salvato il governo e la maggioranza, dubito che ci sarebbe stata questa iniziativa della magistratura».
È la solita Italia delle coincidenze. Che si rinnova nella vicenda di un parlamentare, già uscito dall’Udc che, prima dà corpo ad un gruppo misto alla Camera, e poi decide, dopo averci meditato sopra, di mettersi da quella parte, dalla parte di Berlusconi e del suo governo. E di entrare in quel governo da ministro. E così, all’improvviso si ritrova nuovamente sotto inchiesta, anche se l’inchiesta che lo riguardava era già stata archiviata. Strana quest’Italia, no?
Per questo motivo le parole pronunciate, ieri, dal ministro dell’Agricoltura, Saverio Romano, in una conferenza stampa a Montecitorio sono da considerarsi ancora più illuminanti.
«Resto a testa alta nel governo Berlusconi, deciso a tutelare, in ogni sede giudiziaria e politica, il mio buon nome e la mia onorabilità. Perché ad oggi - ha attaccato Romano, rimandando al mittente la dichiarazione di Fini (che lo ha definito come “inopportuno a fare il ministro”, ndr)- di inopportuno c’è solo e soltanto l’intervento della stessa persona che a dicembre, spogliandosi della terzietà che impone il rivestire la terza carica dello Stato ha raccolto le firme per far cadere il governo. Ecco, a quei soloni che si ergono a difensori della morale, e che invece hanno favorito i propri familiari attraverso vendite improprie, io dico che se non ci fosse stato quel mio voto e quella scelta politica a dicembre, per compensare il passaggio di Fli all’opposizione non ci sarebbe stata neanche la posizione giudiziaria di oggi».
E sulla ripresa delle indagini a suo carico? «Troverei per lo meno irrituale - replica il ministro - che la stessa Procura di Palermo cambiasse valutazione dopo aver per due volte davanti al Gip chiesto l’archiviazione rispetto ad una indagine che è sostanzialmente ferma dal 2007, diciamo che sto assistendo ad una sorta di corto circuito dentro la magistratura. Ma io ho la coscienza a posto e sono convinto che si accerterà la verità dei fatti. Io ho sempre avuto e mantengo il massimo rispetto per il lavoro dei magistrati, ma avere rispetto significa anche dire quando le cose non vanno. E pretendere che si abbia per la mia attività politica e di governo lo stesso rispetto che io ho per l’attività giudiziaria dei magistrati. Il cittadino Romano è assolutamente lucido e sereno e andrà avanti fino in fondo con la propria difesa. Il politico Romano ha il dovere di denunciare però ad alta voce quello che altri comuni cittadini non hanno gli strumenti per fare: gridare che è inaccettabile che i processi in Italia durino diciotto anni e le inchieste otto. Perché con queste durate, le inchieste, ancor più dei processi diventano delle sentenze pubbliche, senza alcuna possibilità di difesa per chi è imputato. Favorendo le inaccettabili strumentalizzazioni come quelle di oggi nei miei confronti».
E giusto per delimitare le strumentalizzazioni e per puntualizzare i retroscena di questa ennesima vicenda ambientata nel centrodestra, che rischia di divenire surreale, c’è da aggiungere che la richiesta della Procura di Palermo di rinviare a giudizio il ministro Romano, sul quale pende l’accusa di concorso in associazione mafiosa, è stata firmata dal pm Nino Di Matteo e dall’aggiunto Ignazio De Francisci. Secondo i magistrati, Saverio Romano sarebbe stato membro attivo di Cosa nostra, e avrebbe mantenuto «rapporti diretti o mediati» con esponenti di spicco dell’organizzazione al fine di trarne sostegno elettorale.

Peccato che già nell’Aprile del 2005, liquidando tutto con una sola paginetta, cioè, in buona sostanza, nulla di più di una valutazione meramente tecnica, il giudice per le indagini preliminari, Giacomo Montalbano, aveva accolto la richiesta della Procura di Palermo che chiedeva per Saverio Romano (tirato in ballo, in merito ad un incontro che avrebbe avuto, assieme a Totò Cuffaro, con il boss Angelo Siino, soprannominato il ministro dei Lavori pubblici di Cosa Nostra), l’archiviazione dell’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa definendo che «gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio».

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