Un secolo d’arte italiana con gli occhi della Biennale

FASI Da Boccioni a Plessi e Basaglia passando per Ciardi, Depero, Turcato e Vedova

Storie nella storia: è una sintesi figurativa delle tappe salienti del Novecento, rilette attraverso la Biennale di Venezia, quella proposta fino al 9 maggio al museo Carlo Bilotti dalla mostra «Venezia e il secolo della Biennale», che riunisce dipinti, fotografie e vetri di Murano dalla collezione della Fondazione di Venezia, per raccontare com’era l’Italia dell’arte e come voleva mostrarsi al pubblico nazionale e internazionale. È, infatti, guardando all’intero mondo artistico, senza limiti di geografia, tecnica o ispirazione, che nel 1895 nacque la manifestazione, decisa per natura e forse «baronato» a storicizzare la tradizione accademica europea, ma poi destinata a aprirsi al nuovo per fare della modernità storia, seguendo il filo della propria personale e in parte autoreferenziale coerenza, in un circolo virtuoso per cui la Biennale espone l’arte che conta e l’arte conta solo se esposta in Biennale. Curata da Enzo Di Martino, la mostra, dopo Palermo e Verona, arriva a Roma, confermando il desiderio della Biennale di essere, tra storia e cronaca, il riferimento per le tendenze artistiche. Il percorso prende le mosse dal primo decennio del secolo scorso, illustrando il classicismo figurativo, figlio di Tiepolo e Canaletto, che, dopo le dominazioni straniere, sembra aggrapparsi alla propria storia per avere la certezza di essere uguale al passato, quindi autonomo. Sono i classicheggianti cromatismi di «Eclissi di sole» di Ercole Sibellato ma pure i «graffi» di pastello di «Nonna» di Umberto Boccioni, i paesaggi in festa de «La città del sogno» di Guglielmo Ciardi e le ombre del romantico «Notturno» di Guido Marussig. Tra 1910 e 1920 la pittura si veste di colore, destrutturando le forme per farsi meno puntuale e più emotiva, da Emma Ciardi a Pio Semeghini. Poi è il trionfo del movimento «fermo», non impotente ma «in potenza», che diventa dinamico nell’interazione con l’osservatore, da «L’Alzana» di Cagnaccio di San Pietro a «Donne al telaio» di Fortunato Depero. Più meditati gli anni Quaranta, costretti dalla guerra a una consapevole «lentezza», che rinnova i valori classici, come la «Maternità» di Giulio Turcato, Madonna quotidiana dall’anima astratta e distratta, il cui sguardo si perde in una vacua fissità.

Il viaggio prosegue attraverso i contemplativi anni Cinquanta di Felice Casorati, i nebulosi Sessanta di Anton Zoran Music, gli astratti Settanta di Emilio Vedova e i rigorosi e labirintici Ottanta-Novanta di Fabrizio Plessi e Vittorio Basaglia. In mostra pure vetri di design e foto degli artisti.

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