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In un secolo guadagnati oltre 30 anni di vita

La realtà, talvolta, può sembrare paradossale. Il primo gennaio 2020, l'anno precedente al Covid, le persone con più di cent'anni in Italia erano 14.804. Per il 2020 ci si aspetterebbe un calo: invece no

In un secolo guadagnati oltre 30 anni di vita

La realtà, talvolta, può sembrare paradossale. Il primo gennaio 2020, l'anno precedente al Covid, le persone con più di cent'anni in Italia erano 14.804. Per il 2020 ci si aspetterebbe un calo: invece no. Nell'anno più duro della pandemia, con gli anziani soggetti al rischio maggiore, i centenari sono aumentati di oltre 2mila unità, raggiungendo, al primo gennaio 2021, il numero record di 17.156, con una percentuale dello 0,29 per mille della popolazione. Per quasi l'85% circa si tratta di donne.

Sono dati che a prima vista appare difficile capire, eppure c'è una spiegazione demografica ineccepibile: tutto è legato alla fine della Prima guerra mondiale, quella del 1915-1918. Negli anni di conflitto le nascite sono crollate (da circa un milione l'anno a quasi la metà) mentre al ritorno della pace si è assistito a un'impennata della natalità. Così oggi, un secolo dopo, si fanno i conti, semplicemente, con una platea di persone molto più vasta; se a questo fattore puramente statistico si aggiungono poi i progressi della scienza e del benessere, non stupirà sapere che tali numeri sono destinati a salire ancora. «Ritroveremo un andamento di questo tipo dal 2040, con riferimento alla Seconda guerra mondiale: prima i centenari saranno in calo, poi in crescita, fino al baby boom degli Anni 50-60», osserva Giorgia Capacci, responsabile dell'indagine sulla popolazione supercentenaria dell'Istat (i supercentenari sono coloro che hanno compiuto 105 anni). Le proiezioni dell'istituto di statistica si spingono ai prossimi decenni: nel 2040, per esempio, gli ultracentenari saranno 55.800 (scenario mediano), su una popolazione stimata in 56 milioni di abitanti.

Tra i centenari attuali, stando ai dati più recenti (del 2019), ben 1.112 hanno raggiunto e superato il traguardo dei 105; i supercentenari oltre i 110 vivi al 1 gennaio 2019 sono (erano) 21, raddoppiati rispetto al 2009, quando se ne contavano 10. In dieci anni (2009-2019) i centenari sono passati da 11mila a oltre 14mila, quelli di 105 e oltre sono più che raddoppiati, da 472 a 1.112, con un incremento del 136%. La quota maggiore è residente nel Nord Italia, la regione con la più alta percentuale è la Liguria. Dei 125 individui che tra il 2009 e il 2019 hanno raggiunto e superato i 110 anni di età, il 93% è costituito da donne. È rimasta un mito Emma Morano, nata a Civiasco (Vercelli) ma vissuta a Verbania, morta a 117 anni nel 2017, per due anni la più vecchia del mondo.

La popolazione anziana aumenta (va ricordato che al 1 gennaio 2021 gli ultranovantenni sono 804mila e che gli ultraottantenni sono un esercito di 4,47 milioni di persone) ma essendo aumentati i decessi è sceso il dato sull'aspettativa di vita alla nascita, principale parametro della longevità.

«Il dato dell'Istat ad oggi disponibile è riferito al 2020 spiega Giorgia Capacci anno in cui era a 82,1 anni, rispetto agli 83,2 del 2019». Il maggior numero di decessi per Covid ha senza dubbio influito. Giova il confronto con cent'anni fa: «Nel 1921 la speranza di vita era di 49,3 anni per i maschi, 50,8 anni per le femmine». E in questo dato c'è tutto il progresso del benessere in ogni sua più minuscola accezione.

Altro discorso riguarda l'età media (ovvero la media aritmetica dell'età della popolazione a una certa data) che oggi in Italia è piuttosto elevata, 45,9 anni, quando la media dell'Unione Europea è di 43 anni. «Come è noto siamo il Paese più anziano d'Europa, con un invecchiamento pari solo a quello della Germania. Nel mondo ci batte solo il Giappone», ricorda la funzionaria dell'Istat, che spiega: «Speranza di vita e numero di nascite incidono sull'invecchiamento della popolazione: più basse sono le nascite e più a lungo vive la gente, più il Paese invecchia. In Italia ci sono poche nascite e una speranza di vita elevata. Anche in Germania c'è un'alta speranza di vita, ma ci sono anche tante nascite che sostengono i numeri. Noi quindi invecchiamo di più». Tutti concetti che, tradotti in cifre, contribuiscono ai calcoli con cui si determina il livello delle pensioni.

Fin qui la fotografia dello stato di fatto demografico e delle previsioni statistiche. Ma sull'invecchiamento della popolazione c'è un altro, sconfinato tema da approfondire: i perchè di questo progresso, legati in primo luogo alla medicina e alla scienza. «Fino al 1830 spiega Andrea Ungar, professore ordinario di geriatria all'Università di Firenze l'aspettativa di vita è rimasta fra i 30 e i 35 anni in tutto il mondo. Cambia tutto alla metà dell'800, grazie alla rivoluzione industriale che ha portato una profonda trasformazione nelle abitudini di vita, di igiene, di alimentazione, di comfort. In quegli anni la medicina diventa davvero una scienza. L'unione delle due cose scienza e condizioni di vita ha portato all'allungamento della vita media. Pensiamo agli antibiotici, all'analgesia che ha permesso di operare le persone, ai vaccini...».

Ma la medicina non è tutto. Continua Ungar: «Per l'invecchiamento la genetica conta per il 25%, mentre il 75% riguarda ciò che si definisce ambiente nel suo insieme. Per esempio: la solitudine o vivere in una zona disagiata accorciano la vita, abitare in città fa vivere più a lungo, perché intorno c'è la società che si muove. Sono dati certi. E poi la vedovanza accorcia la vita, specialmente nell'uomo». La scienza poi va intesa in senso ampio, come miglioramento delle condizioni di vita: anche le fognature, la sicurezza alimentare, l'illuminazione delle città contribuiscono a un miglior benessere complessivo. «Tant'è sottolinea il professore - che l'aumento dell'aspettativa di vita appartiene ai Paesi sviluppati, mentre nei Paesi sottosviluppati, anche se possiamo usare gli stessi farmaci, l'aspettativa rimane bassa: è un portato della civiltà».

A chi gli chiede se è vero che la medicina vede a 120 anni il prossimo traguardo di vita, Ungar dà una risposta netta: «No, a 150! Anzi, c'è chi dice che la persona che vivrà 150 anni sia già nata. Sono stime piuttosto empiriche, naturalmente. Ma l'idea di arrivare a 120 anni è più che realistica, e lo vediamo già nel ruolo sociale degli anziani. Se cioè oggi parliamo di anziani, dobbiamo riferirci agli ultra 75enni, non più agli ultra 65enni. Tra i 65 e i 75 possiamo chiamarli grandi adulti o anziani giovani. I settantenni di oggi sono superattivi, l'80% degli ultra 75 è autonomo nelle attività di base della vita quotidiana. Si tratta di una popolazione anziana che in maggioranza sta bene».

E i centenari come stanno? «Sono sicuramente soggetti superselezionati, che hanno cioè una genetica favorevole e un'incidenza di malattie nel corso della vita nettamente inferiore alla media. Comunque restano pur sempre centenari, non si può pensare che l'età non abbia nessun impatto sullo stato funzionale e cognitivo. Un centenario è un centenario, anche se esce tutti i giorni e va a bere il caffè. Sopra i 95 anni parliamo di soggetti molto fragili ai quali basta poco per perdere un equilibrio. Noi ci auguriamo che fra 60-70 anni, se davvero la vita arriverà a 120, i centenari di allora saranno gli ottantenni di oggi mentre quelli di 120 saranno i superfragili da trattare come delle coppe di vetro molto sottile. È l'onda della società e delle generazioni, ci si laurea più tardi, ci si sposa più tardi, si fanno figli più tardi...».

Ma esiste un elisir di lunga vita? «Saperlo!», sorride il professore. «Vivere una vita più piena possibile, più autonoma possibile, più curiosa possibile, non smettere mai di imparare, non smettere di guardare al futuro come attività. Un soggetto che va in pensione giovane e smette di lavorare e di avere interessi è destinato a invecchiare male. Poi ovviamente tutto quello che è prevenzione, alimentazione, fattori di rischio cardiovascolare, mobilità, camminare, mantenere un giusto peso, mantenere un cervello attivo...

E poi la bellezza: una signora di 97 anni diceva che vivere a Firenze, una delle città più belle del mondo, le allungava la vita».

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