Politica

Secolo nuovo, insulti vecchi: fascista

Mi è stato chiesto – non so quante volte, ma tante – come mai abbia deciso di studiare il fascismo. Quasi sempre la domanda conteneva l’ironico sottinteso che, avendoci dedicato tanto tempo e passione, qualche simpatia per il regime ce la devo avere per forza. Come dire che un oncologo deve per forza trovare amabile il cancro. Comunque, spiego ogni volta che mi iscrissi all’università subito dopo il Sessantotto e mi sorprendeva l’uso di un insulto allora diffusissimo: «Fascista!». Per beccarsi l’epiteto non era indispensabile, né necessario, indossare la camicia nera o fare il saluto romano. Era più che sufficiente attraversare con il giallo o difendere un’idea poco in linea con l’opinione corrente, fosse pure su una faccenda sportiva.
Il bello (brutto) era che quasi nessuno sapeva, in realtà, cosa fosse il fascismo e – di conseguenza – chi poteva essere considerato suo seguace. A scuola non ce l’avevano insegnato, neppure al liceo, liquidandolo in poche righe sufficienti a definirlo una dittatura, ma non a spiegare il fenomeno. Appassionato di storia, mi chiesi come mai un popolo così sostanzialmente anarchico come quello italiano, avesse subito un’offesa tanto tremenda alla propria libertà – per più di vent’anni – senza ribellarsi. E cominciai a studiare.
Le risposte sono dunque nei miei libri, ma non è di questo che voglio parlare: bensì del ritorno, periodico, dei richiami al fascismo e ai fascisti nella vita politica e giornalistica odierna. Il pericolo fascista verrebbe da Berlusconi e dal suo governo. Gli ultimi a lanciare il grido d’allarme sono stati, nell’ordine, Concita De Gregorio, sull’Unità, l’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, Antonio Di Pietro e Marco Pannella. Posso capire il leader radicale, che vede fascismo ovunque e ha una sua personale interpretazione della parola. Gli altri, invece, intendono proprio quel fascismo, ovvero il regime di Mussolini.
Allora, con la stessa pazienza che uso con i miei studenti, spiegherò loro che: 1) Il fascismo raggiunse il potere con l’uso della violenza. 2) Lo mantenne con leggi liberticide gravissime (messa al bando degli altri partiti e del diritto di sciopero, abolizione della libertà di stampa e di espressione del pensiero, ecc.). 3) Annullamento di vere e libere elezioni. 4) Arresto, con carcere o confino, per gli oppositori.
Potrei continuare, ma non credo ce ne sia bisogno: chi si richiama al pericolo fascista, citando Berlusconi e l’attuale governo, sa perfettamente che niente di tutto ciò sta accadendo, o è ipotizzabile che accada, nell’Italia del XXI secolo. La parola «fascismo» viene dunque usata a sproposito, o meglio a scopo propagandistico più che politico: per colpire il bersaglio grosso del pubblico disattento o disinformato, sensibile agli slogan roboanti.
Se De Gregorio-Scalfaro-Di Pietro-Pannella dovessero affrontare un dibattito più alto si guarderebbero bene dal ripetere il paragone berlusconismo = fascismo. Parlerebbero, piuttosto, del pericolo di un «nuovo fascismo», che si ripresenterebbe sotto altre forme, ovvero quello del conflitto di interessi, delle nomine di «veline» a importanti incarichi, dello strapotere mediatico e degli attacchi alla libertà di stampa. Da storico – e non da polemista politico – posso osservare che: 1) La legge sul conflitto di interessi non venne realizzata dal centrosinistra, quando poteva. 2) Che l’insulto più grave alla dignità delle istituzioni italiane venne fatto nel 1988, primo governo De Mita, quando venne nominata ministro dei Beni culturali (dopo Giovanni Spadolini), la signora Vincenza Bono Parrino: la quale non era neanche in grado di parlare in un italiano accettabile ma che aveva «ereditato» i voti del marito socialdemocratico; nessuno scese in piazza, neanch’io, e tuttora me ne vergogno. 3) Che la stampa è talmente libera da mettere Berlusconi in condizione di querelarla. (Per quanto riguarda le televisioni, vedi il punto 1, sul conflitto di interessi). Non solo: proprio ieri, sul Giornale, Angelo Crespi ha dimostrato che molti firmatari di appelli contro il capo del governo, scrivono e dicono quel che vogliono per le sue case editrici e nelle sue televisioni.
Tutto ciò non significa che il governo Berlusconi rappresenti il paradiso in terra, dal quale è piuttosto lontano: almeno quanto dal fascismo. E, visto che sono partito con un esempio personale, concludo con un esempio personale.
Appena qualche giorno fa ho potuto scrivere, su queste stesse pagine, che Berlusconi aveva «torto marcio»: e non mi riferivo a bruscolini, ma alla decisione di non consentire agli italiani un referendum sulla Costituzione europea. Della stessa libertà ho goduto con Montanelli, Feltri 1°, Belpietro, Giordano.
Infine, una dichiarazione di solidarietà agli antifascisti, quelli autentici: se davvero la libertà fosse in pericolo e occorresse salire sui monti, sarò con voi.
www.

giordanobrunoguerri.it

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