nostro inviato a Barcellona
Dovesse andargli buca lennesima finale di coppa Campioni della sua sontuosa carriera, avrebbe un futuro garantito. Da interprete. Perfetto Clarence Seedorf, al tavolo della conferenza stampa del Camp Nou, risponde in italiano e in spagnolo, in inglese forbito e in portoghese, i cui rudimenti sono da attribuire alla seconda moglie che guida un ristorante alla moda a Milano, alle domande che gli scodellano sul tavolo.
Sembra un altro Seedorf rispetto a quello di Messina. Qui non ha bisogno di passare alle vie di fatto per segnalare le fiere intenzioni sue e del Milan. «Siamo qui per provare a vincere e arrivare alla finale» declina con misura una frase che ha il dono della trasparenza. Niente moine, zero ipocrisie. E ha sufficiente orgoglio per non dover attingere alla condizione di ex madridista che da queste parti, come si sa, risulta sempre molto efficace. «Io non gioco per nessuno, gioco per il Milan una sfida che di suo è già molto difficile e complicata» spiega.
Alla sua età, con il suo passato, tre coppe alzate in tre club diversi (Ajax, Real Madrid, Milan), 109 le presenze timbrate in Champions, Seedorf ha forse il privilegio di guardare alla serata di Barcellona col necessario disincanto. Non rischia di finire sotto il cumulo delle pressioni e neanche di farsi consumare dalla tensione. «Sono partite speciali, più ci si avvicina alla finale, più belle diventano. E mi ricordano che non tutti possono dire dessere arrivati a questo livello» racconta con gli occhi sognanti di un bambino cresciuto. Forse gli passa davanti agli occhi la sagoma di Van Basten che lo lascia a casa, per il mondiale. Chissà.
Di certo Clarence non se la sente di intervenire nel dibattito messo in piedi dai giornalisti spagnoli che continuano a chiedere lumi sul paragone: più forte Ronaldinho o più forte Pelè. «Non sono brasiliano e non sono in grado di pronunciarmi ma il semplice fatto di essere accostato a lui deve rappresentare un motivo di grande soddisfazione per Ronaldinho» è la sua risposta, ben costruita.
Serve un miracolo? gli chiedono. «Certo, perché no, va bene un miracolo» detta Seedorf e se ne va sul prato smeraldo del Camp Nou a sognare con gli occhi da bimbo una notte irripetibile.
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