D’Alema sostiene che «la lunga fase della parabola berlusconiana è finita», Bersani afferma tout court che «bisogna liberarsene» e tutta l’opposizione si comporta come se il Cavaliere fosse ormai alla frutta. In realtà, non solo il premier ha tutte le intenzioni di continuare, addirittura lanciandosi in una nuova campagna elettorale, ma potrebbe addirittura iniziare una nuova attività: insegnare agli altri leader dell’Occidente - tutti oggi in serie difficoltà - come si fa a superare una micidiale crisi economica, una secessione nel proprio partito e un nutrito pacchetto di scandali senza quasi perdere di popolarità: gli ultimi rilievi lo danno ancora oltre il 50 per cento.
Tra Obama, Sarkozy, Zapatero e la Merkel (l’inglese Cameron è al potere da troppo poco tempo per partecipare alla gara) Berlusconi è, in effetti, l’unico «grande» occidentale che, se si votasse domani, sarebbe quasi certamente riconfermato, tanto che gli altri hanno preso a guardare a lui con un misto di stupore, ammirazione e invidia e perfino la stampa anglosassone, da sempre ostile, lo sta rivalutando.
Chi più chi meno, sono infatti tutti nei guai fino al collo. A Obama non è bastato varare la prima grande riforma sanitaria d’America e mettere le briglie a Wall Street per fermare un fin troppo rapido declino: gli americani lo incolpano ormai di tutto, dall’enorme buco di bilancio alla disoccupazione, dalla deriva statalista all’inquinamento del Golfo del Messico, e quelli che ancora approvano il suo operato sono di poco superiori al 40 per cento. Nelle elezioni di novembre, perderà quasi certamente la maggioranza in Congresso e cinque o sei seggi al Senato. Per quanto si sforzi, per quanto la stampa liberal continui a sostenerlo in un modo che Berlusconi neppure si sogna, per quanto l’economia sembri, sia pure più lentamente di quanto sperato, risalire la china, lui continua ad affondare.
Altrettanto serie sono le difficoltà di Sarkozy, che guarda ormai con paura alle elezioni presidenziali del 2012. Si difende come un leone, nega ogni coinvolgimento nello scandalo dei fondi neri della signora Bettencourt, ha rinviato una stretta sui conti come quella in corso da noi. Eppure, anche la sua popolarità è in costante calo: i francesi - clienti notoriamente difficili e sempre pronti a prendersela con chi governa - gli rimproverano nello stesso tempo di non avere fatto le grandi riforme che aveva promesso e di imporre loro sacrifici come l’innalzamento dell’età pensionabile. Anche nei suoi comportamenti privati il presidente dà l'impressione di avere perso la bussola (vedi scena di gelosia a Carlà) e il suo partito perde consensi a destra, verso il Fronte nazionale.
Fino a poco tempo fa sembrava salvarsi Angela Merkel, soprattutto perché la Germania, grazie al boom delle esportazioni, sta uscendo dalla recessione meglio degli altri. Ma adesso la «nemesi del leader» ha raggiunto anche lei. La coalizione con i liberali, che tanto aveva desiderato, non funziona, e il suo stesso partito la sta mettendo sotto accusa per non aver saputo mantenere i contatti con la base. Alcuni dei suoi colleghi più autorevoli, i governatori di Turingia, Assia e Amburgo si sono ritirati a sorpresa dalla politica, quello della Renania-Westfalia Ruettgers ha perso le elezioni, quello della Bassa Sassonia è diventato (con fatica) presidente della Repubblica. Angela è ormai una donna sola, a sua volta in costante calo nei sondaggi.
Resta Zapatero, anche lui alle corde per le crisi parallele dell'economia e della finanza, ma che ha ricevuto una (temporanea) boccata d’ossigeno dalla vittoria della Spagna ai mondiali sudafricani. Se il calcio conta tanto, c’è da chiedersi come mai Berlusconi non abbia sofferto del disastro azzurro (e in parte anche del suo Milan).
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