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«Sei un errore della democrazia», «ti farò scappare dal Nord di notte» Spesso finisce in rissa, ma poi la rissa finisce a pacche sulle spalle

di«Berlusconi manderà a casa il governo? Berlusconi è un po’ una mezza calzetta, c’è tutto un Paese che vuole strozzare Monti e lui ha paura di mandarlo via». Così tuonò il Senatùr. «Io sono sereno, penso che al momento opportuno il centrodestra sarà compatto». Così replicò il Cavaliere. L’ultimo strappo forse è soltanto una smagliatura. Poco importa se nella calza o nella calzetta.
Una storia infinita di battute corrosive come l’acido muriatico, ma anche di sdolcinate dichiarazione di amorosi sensi. Di divorzi minacciati, persino mantenuti, e poi di grandi, fraterni abbracci. Di pubbliche virtù e vizi privati messe in piazza o esternati, naturalmente con il massimo del riserbo, davanti a una telecamera o a un microfono. In buona sostanza, un rapporto a corrente alternata che ha legato o slegato Umberto Bossi a Silvio Berlusconi da quando, era il 1994, cominciarono a camminare assieme sulla strada della politica. E per ricostruirlo, con rigore e asetticità cronistica, il modo migliore ci sembra quello di rileggere assieme alcune delle loro celebri frasi. «Nonostante atteggiamenti volutamente devastanti, il Bossi è un buon italiano: è diverso dai vecchi e nuovi marpioni della politica. E in questo me lo sento fratello» dice Berlusconi a Panorama il 4 febbraio del 1994. Siamo agli inizi del flirt. Nello stesso anno, infatti, Bossi entra nella coalizione di centrodestra, leggasi Polo delle Libertà, che assieme al Msi vince le elezioni. Il 24 agosto l’Umbertone esce allo scoperto, anzi esce rudemente coperto dalla villa di Porto Cervo, inaugurando il famoso look della canottiera, con trionfali dichiarazioni. Peccato che solo un paio di giorni dopo (L’Espresso del 26 agosto) Berlusconi dica di lui: «Bossi quando parla sembra un ubriaco al bar». Le cose fra i due non si mettono molto bene in quel loro primo cammino di governo, tanto che Bossi non si fa problemi a staccare la Lega dalla coalizione quando il governo Berlusconi viene sfiduciato il 22 dicembre 1994. Il Cavaliere se la prende un tantino e, nei mesi a venire, infila una serie di cortesi affermazioni: «Bossi è un disastro, una mente contorta e dissociata, un incidente della democrazia italiana, uno sfascia carrozze con il quale non mi siederò mai più allo stesso tavolo» (la Repubblica, 20 gennaio 1995). E ancora: «Non sosterrò mai più un governo che deve contare su Bossi. È una persona totalmente inaffidabile. Mi meraviglio come anche i mezzi di comunicazione, senza nessun senso critico, diano ospitalità a tutte le sue esternazioni che non hanno né capo né coda» (dichiarazione all’Ansa del 2 febbraio 1995).
Il Senatùr con altrettanta cortesia contraccambia: «Ascolta Silvio, dovrai scappare dal Nord di notte con tua moglie e i tuoi figli e le valigie. Hanno capito che tu sei mafioso» (Corriere della sera 15 settembre 1995). E ancora: «Berlusconi ha fatto tanti imbrogli nella sua vita. Oggi è solo il servo di quel fascista di Fini. Noi siamo come Gesù Cristo, guariamo i malati e gli storpi. Berlusconi sa che chi tocca la Lega guarisce e spera di dare di sé l’immagine del guaritore» (la Repubblica 15 febbraio 1996).
E, non contento, serve sul piatto dell’anelante Travaglio la seguente dichiarazione: «Silvio Berlusconi era il portaborse di Bettino Craxi. Berlusconi è bollito. È un povero pirla, un traditore del Nord». Serve rincarare la dose? Eccovi un altro scampolo della prosa bossiana diffusa col megafono nello stesso periodo: «Berlusconi è l’uomo della mafia. È un palermitano che parla meneghino, un palermitano nato nella terra sbagliata e mandato su apposta per fregare il Nord. La Fininvest è nata da Cosa Nostra».
Quando nel «Berlusconi II» Bossi diventa nel 2001 ministro per le Riforme, l’amore sembra di nuovo essere scoccato. Due cuori e una capanna. O meglio due cuori e una Casa delle Libertà. Nel 2004, l’11 marzo, arriva come una mazzata l’ictus che colpisce il Senatùr. Le sue condizioni sono decisamente preoccupanti e il Cavaliere si prodiga per aiutare al meglio «l’amico e l’alleato». E il Senatùr appena riuscirà a parlare dopo 51 giorni di ricovero in una clinica svizzera e una faticosissima convalescenza, ricambia con parole di riconoscenza e di affetto dei confronti del Cavaliere: «Mi è stato davvero vicino durante la malattia». Preparando il ritorno al governo i due sembrano essere tornati d’amore e d’accordo. Alla manifestazione di Roma del 3 dicembre 2006 il Senatùr rende pubblico merito a Silvio: «Te le dico in lombardo: tègn dur, mai molà, dobbiamo farti un grande applauso».
Poi però nei mesi a venire arrivano altre frecciate: «Berlusconi parla troppo. Doveva dare una spallata al governo Prodi invece l’ha data ai suoi alleati (Libero 9 dicembre 2007). E, un po’ minacciosamente: «Se Berlusconi mi telefona gli faccio sentire il rumore del mio revolver.

Questa è l’ultima occasione: o si fanno le riforme o scoppia un casino» (8 aprile 2008). Arrivano altre elezioni, il centrodestra rivince, Bossi torna a fare il ministro per riforme. La coppia si rimette insieme. Ma si torna a graffiare reciprocamente fino all’11 novembre. E anche dopo.

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