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Sei mesi dopo la tragedia Dove sono finiti i soldi per ricostruire Haiti?

La macchina della solidarietà ha racimolato 15 miliardi di dollari per l'isola distrutta dal terremoto. Ma i lavori non partono, le organizzazioni umanitarie non investono i fondi, pesa la ricostruzione locale

Sei mesi dopo la tragedia 
Dove sono finiti i soldi 
per ricostruire Haiti?

Grandi organizzazioni umanitarie che non utilizzano i fondi raccolti per le vittime del terremoto di Haiti, la gente terrorizzata di tornare a vivere fra quattro mura, che vuole abitazioni in legno e scuole sotto le tende per i propri figli. Un piano per la ricostruzione ancora in alto mare, nonostante sulla carta siano disponibili 15 miliardi di dollari. Non solo: Le scosse hanno fatto saltare anche le elezioni e il presidente, René Perval, viene additato come un «dittatore» per aver esteso il suo mandato fino al prossimo anno.

Sei mesi dopo il terribile terremoto che il 12 gennaio ha falciato 220mila persone (secondo i dati forniti dal governo), l'isola caraibica sta ancora cercando la strada giusta per il futuro. Un'inchiesta della tv americana Cbs ha dimostrato che le grandi organizzazioni umanitarie, legate soprattutto alle donazioni negli Stati Uniti, stanno spendendo con il contagocce i fondi raccolti per l'emergenza Haiti. Proprio negli Usa si era mobilitata, come in nessun’altra parte al mondo, la macchina della solidarietà. La fondazione Clinton-Bush, messa in piedi con grande pubblicità dai due ex presidenti Usa, non ha voluto neppure fornire i dati ai giornalisti. Dal suo sito si scopre, però, che su 52 milioni di dollari raccolti in beneficenza ne ha spesi appena 7. Un altro colosso del bene, l'ong Care, ha messo a disposizione 34,4 milioni di dollari, grazie a donazione e altro, utilizzando ad Haiti solo il 16%. In pratica 5,75 milioni di dollari, 2,5 dei quali in prefabbricati per la prima emergenza.

Ancora peggio la Catholic relief services (Crs) che dei 165 milioni di dollari raccolti, sotto forme diverse, ne ha spesi solo l'8% (12,2 milioni). Va un po' meglio la Croce rossa americana, che su 444 milioni a disposizione ne ha utilizzati 111, il 25 %. La metà in aiuti di emergenza, ma sei mesi dopo il terremoto Haiti deve guardare avanti.

Forse aveva ragione Guido Bertolaso, che dopo essere sbarcato sull'isola per una breve missione aveva criticato soprattutto gli Stati Uniti per il mancato coordinamento negli aiuti.

Dall'Italia, la costola nazionale della Croce rossa, ha raccolto molto meno soldi di quella americana, ma in termini percentuali ne ha già utilizzati una bella fetta. Su 2 milioni e 253mila euro raccolti con le donazioni, un milione è servito per ridare una boccata d'ossigeno alla sanità di Haiti, 350mila euro per attività sul campo e 100mila per famiglie haitiane curate in Italia. Una fonte della Croce rossa spiega: «La nostra linea è investire bene e presto i soldi della beneficenza. Talvolta ci troviamo di fronte a ong, come il network italiano Agire, che raccoglie fondi, anche attraverso convenzioni con la Rai e poi non li spende tutti, come è capitato per lo tsunami. E staremo a vedere cosa succederà per Haiti».

Il vero nodo è la ricostruzione. I 15 miliardi di dollari della comunità internazionale dovranno servire a rimettere in piedi Haiti nei prossimi 10 anni. L'obiettivo è non solo ricostruire le città distrutte, ma fare uscire il paese dalla crisi e dalla povertà endemica che lo attanaglia da sempre. Molti ministeri, distrutti dal terremoto, continuano a funzionare a singhiozzo e il governo non ha le idee chiare sul piano di ricostruzione. Le grandi organizzazioni umanitarie temono di compiere passi sbagliati o affrettati, come capitò dopo l'emergenza tsunami. Per questo hanno il braccino corto. L'impasse politica e l'ombra della corruzione fanno il resto. I soldi raccolti in beneficenza restano in cassa per i progetti a lungo termine. E nel frattempo fruttano non poco, grazie agli interessi.

Le scosse hanno cancellato pure le elezioni e la decisione del presidente Perval, ratificata dal parlamento, di rinnovarsi il mandato fino al 14 maggio 2011 ha scatenato proteste di piazza. Gli oppositori parlano di «nuova dittatura», in un paese abituato a golpe e tiranni.

Poi c'è il problema dei senzatetto, che non vogliono, per ora, tornare nella case in muratura. Un milione e mezzo di persone è stato colpito dal terremoto. Quattro mesi dopo fra 500mila e 700mila vivevano ancora in condizioni di emergenza. La gente non vuole saperne di edifici in muratura. Preferisce case in legno e scuole sotto le tende per i propri figli. L'Avsi, una delle più importanti ong italiane presenti a Haiti manda a scuola circa 3.000 bambini organizzandoli in classi sotto le tende, dalla materna alla sesta elementare. E sta costruendo strutture temporanee in legno dove verranno allestite 10 istituti scolastici, 7 ambulatori sanitari per una capacità di assistenza medica a10.000 bambini e 2.000 donne incinte e in fase di allattamento.
Con i primi di giugno si sono ritirati dall'isola i 22mila soldati americani, che l'avevano «invasa» per evitare che il paese sprofondasse nell'anarchia. Rimarranno solo 500 uomini della guardia nazionale e la portaerei Iwo Jima per l'assistenza medica specialistica a bordo. Invece l'Onu ha rinforzato la missione dei caschi blu presenti ad Haiti dal 2004, per garantire una minimo di stabilizzazione e sicurezza. Fino a ottobre continueranno a venir dispiegati circa 10mila uomini, che proteggono pure le organizzazioni umanitarie e gli aiuti per la popolazione.
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