"Da seminarista a rapinatore di banche: il giovane Stalin"

Simon Sebag Montefiore, lo storico che ha ricostruito la formazione del futuro dittatore: "Georgiano sino al midollo, applicò all’Urss la logica dei clan"

"Da seminarista a rapinatore di banche: il giovane Stalin"

Un tempo è esistito un bambino battezzato a Gori con il nome di Josif Vissarionovic Dzugasvili. Poi è esistito un gracile ragazzino, chiamato Soso da parenti o amici, che studiava in seminario ma faceva a botte nelle strade pur avendo un braccio quasi paralizzato. Poi è esistito un giovane rivoluzionario georgiano con un piede nel mondo della malavita e un indubbio fascino sulle femmine, tutti lo chiamavano Koba. Dopo, una volta che la Russia è diventata l’Urss, è esistito solo Josif Stalin interessato a far sparire ogni traccia imbarazzante del suo passato. E su quegli anni giovanili sono calati l’agiografia o il silenzio. Oppure la maldicenza feroce degli oppositori, che dell’agiografia è la forma speculare. Ecco perché il saggio Il giovane Stalin (Longanesi, pagg. 554, euro 29) scritto dallo storico inglese Simon Sebag Montefiore - arriverà nelle librerie giovedì - è un libro importante. Ricostruisce in maniera puntuale questa giovinezza rimasta a lungo avvolta nella leggenda. Quello che emerge dal volume è uno Stalin profondamente legato alla Georgia e al sottobosco di clan e banditismo che caratterizzava quella regione. Uno Stalin sospeso tra il seminario dove lo infilò la madre e le risse di strada. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Quali documenti ha utilizzato per scoprire i segreti del giovane Stalin?
«Il libro è interamente basato su carte che sono diventate accessibili solo negli ultimi anni. La maggior parte dei documenti inediti vengono dagli archivi della Presidenza a Mosca, dove sono confluiti gli archivi personali di Stalin. Ho poi utilizzato anche quelli georgiani di Tbilisi. Questa documentazione consente di capire come Stalin è diventato Stalin. E anche, in un certo senso, come l’Unione sovietica è diventata l’Unione sovietica».

Nel suo libro ha sviscerato alcune vicende, come la cruenta rapina in banca che Stalin organizzò il 13 giugno 1917, che mettono in luce i rapporti con la criminalità georgiana... Stalin all’origine era un bandito?
«Stalin nella sua gioventù è stato molte cose: un rivoluzionario e un giornalista, un poeta e un donnaiolo, un bravo corista e un aspirante prete che studiava in seminario... Ma è un dato di fatto che è stato anche rapinatore e un uomo con molti legami con la criminalità georgiana. Le sue rapine avevano un preciso movente politico e anche mentre si dedicava al crimine Koba (come Stalin si faceva chiamare allora) era in primo luogo un rivoluzionario bolscevico ma, come spiego nel libro, un rivoluzionario che a differenza di altri sapeva muoversi in un sottobosco violento che avrebbe spaventato intellettuali come Trockij...».

Si è a lungo discusso sul rapporto tra Lenin e Stalin. Cosa pensava Lenin dello Stalin capobanda che attaccava le diligenze?
«Lenin già in quegli anni era molto ben informato delle caratteristiche del compagno Dzugasvili e trovava fondamentale la sua attività di procacciatore di denaro per il partito comunista. Non si limitava a far finta di niente, aveva proprio bisogno di un “duro” come Stalin. Anzi, alcuni comunisti georgiani si lamentarono delle rapine di Stalin, degli ammazzamenti, dell’attività di quest’ultimo nell’ambito del racket e delle protezioni. Si sentirono rispondere: “Fantastico, è proprio il tipo di persona di cui ho bisogno”».

Quanto queste frequentazioni hanno influito sul modo in cui Stalin intendeva la politica?
«Hanno avuto una grande influenza. Stalin, come altri georgiani che avevano condiviso le sue esperienze, simpatizzarono d’istinto con le brutalità della guerra civile. Erano cresciuti nelle stesse strade, s’erano impegnati nelle stesse guerre di bande, avevano abbracciato la stessa cultura della violenza. In questo senso la militanza criminale è difficilmente separabile da altre esperienze come le sue radici georgiane, il clima familiare...».

Stalin si sviluppò la tendenza a covare odi duraturi anche verso i suoi stessi compagni. È il caso di Trockij...
«Erano esattamente agli opposti e l’odio covò da subito. Trockij era uno sfavillante e ricco intellettuale ebreo, Stalin un ruvido e coriaceo georgiano figlio di un calzolaio. Eppure entrambi erano degli outsider, dei non russi, ed entrambi erano degli estremisti. Senza contare che Lenin li considerava tra i più intelligenti e abili tra i suoi scagnozzi e cercò di spingerli allo “spareggio”. Se a questo aggiungiamo che entrambi, come Lenin, consideravano, l’assassinio uno strumento chiave della politica...».

Insomma le scelte politiche c’entravano poco...
«Fu uno scontro personale, si trovarono antipatici da subito. Una volta messo fuori gioco Trockij, Stalin mise in atto molte delle sue idee politiche».

Tornando allo Stalin delle origini. Alcuni storici hanno dato spazio alle voci che lo vedevano coinvolto in maneggi con la polizia: insomma una spia dello Zar.
«Spazzatura, sciocchezze.

Ma in un certo senso è un errore comprensibile. Stalin giocando a un complesso e sporco gioco a guardia e ladri, fatto di infiltrazioni e controinfiltrazioni, era costretto ad avere rapporti con la polizia segreta ma sicuramente non fu un agente zarista».

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