La differenza di Susanna Tamaro. Una differenza notevole, palpabile. Qualcuno userebbe quella parolina lì: antropologica. La cogli appena entri nella sala Oval del Lingotto, dove già si sono esibiti Erri De Luca e Umberto Eco. La Tamaro è sul palco vicino a Paola Mastrocola che introduce e argomenta. Ma sebbene guru potrebbe essere con tutti i crismi, qui di esibizione neanche l’ombra. Niente blasoni, niente apparati, niente aureole civili o religiose che siano. Sarà anche un fatto di fisicità: Susanna è minuta, semplice. Non ha idea di cosa voglia dire tirarsela. Ha appena pubblicato Per sempre (Giunti, pagine 224, euro 18 ), «la parabola di redenzione » di Matteo, un ex cardiologo innamoratissimo della propria moglie che inizia una discesa agli inferi fatta di sesso, alcol e cinismo quando lei muore in un incidente stradale insieme al figlio e al bimbo che porta in grembo.
La rinascita avverrà dopo altri traumi, grazie a una sorta di ritiro dal mondo in un casale dove coltivare l’orto e il silenzio, accudire un gregge e l’anima. «Mi sono ispirata a tanti nuovi eremiti che hanno scelto di viverenelle montagne dell’Appennino» svela la Tamaro. «Persone che adesso in tanti, magari di domenica, vanno a trovare alla ricerca di un dialogo autentico sulle cose che contano. È una scelta che è sia rinuncia alla civiltà della velocità, invasa dalla tecnologia con l’ansia di essere sempre connessi, sia bisogno di rientrare in se stessi, di riscoprire l’interiorità ». Uscito da una decina di giorni, Per sempre è già al secondo posto nella classifica della narrativa italiana e al quarto assoluto. E qui al Salone del Libro gli applausi si susseguono e le domande dell’intervista devono alternarsi con le richieste di autografi, non solo di ragazzi.
I quali, sempre per tornare alla differenza di partenza, avvertono che l’autrice si mette in discussione anche lei fino in fondo. In gioco è la partita con il destino, lo scontro tra il bene e il male, mica uno spicchio di popolarità, un titolo di giornale, una tecnica di scrittura. Che pure c’è anche qui: una scrittura semplice, rarefatta, che si dipana in un lungo flashback che, come nelle migliori favole (qui per adulti) scopre a ritroso il «gorgo nero» e inquietante del male. Un destino che non è in mani nostre e che pure passa dentro l’amore tra un uomo e una donna.
Ma sul quale possiamo porci solo tante domande, come avviene nelle memorabili pagine della “pioggia dei se”lette (e applaudite)in sala da Roberto Alighieri. «Perché, quando succede qualcosa di irreparabile, non si fa che pensare a quello che si poteva evitare? Se avessi svoltato a destra invece che a sinistra... se fossi rimasto a letto a dormire... se non avessi risposto a quella telefonata... L’unico “se” valido, quello che racchiude tutti gli altri, è solo uno. Se non fossi mai nato». Eccolo qui, il destino: quello che, per esempio, Scalfari rimuove quando dice, come l’altra sera alla sua platea riverente, che «la più grande evidenza è che l’uomo ha il potere del pensiero e di vedersi vivere». Mentre, in realtà,la più grande evidenza è che l’uomo esiste perché è fatto, e che, in questo preciso momento, il cuore batte e il respiro scende nei polmoni a prescindere dalla mia volontà. Pian piano se ne accorge Matteo, grazie al rapporto con la natura. «Che però è un luogo tutt’altro che idilliaco come vorrebbe una certa ideologia ecologista» precisa Tamaro. «La natura è la creazione,alla quale l’uomo collabora. E se appena non lo fa, sottovalutando la presenza del male- le vipere, le spine, i rovi che strisciano e aggrovigliano- ecco che ti divora. È una grande metafora che vale per la vita pratica, in campagna e non solo.
Ma anche per la vita interiore». Per sempre è un libro denso che critica il cristianesimo della buona azione («lo detesto») e il razionalismo illuminista che attribuiscele domande dell’uomo a una questione biochimica, come si legge nel dialogo tra Matteo e una giornalista. «Io sono una studiosa di etologia e biochimica. E riconosco che l’uomo ha dei comportamenti che si possono ritrovare in quelli delle grandi scimmie e degli scimpanzé» premette Tamaro. «Ma l’uomo produce l’arte,la musica.Soprattutto, ha il senso della morte, della malattia, della relazione con l’altro da sé.Tutti fattori che la cultura di oggi tende a rimuovere ».
Così, en passant , il protagonista non disdegna di togliersi qualche sassolino dalle scarpe in una parabola di redenzione che ha il senso del tragico dell’Antico Testamento: «È così. Trovo che la vendetta sia un sentimento sanguigno, vero.E l’ Antico Testamento una fonte inesauribile di letteratura alla quale ho attinto in molti dei miei libri».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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