Lunga e «tribolata» fu per Giuseppe Verdi la composizione di Triboletto, da Le roi samuse di Victor Hugo, e con non poche grane con la censura. Uno scellerato sovrano, anche se del 500 come Francesco I di Valois, che pensa solo a insidiare le donne altrui? Non va bene. E quindi Verdi è costretto spostare la scena di un secolo, nel 400, e di un migliaio di chilometri, a Mantova, retrocedendo il re a duca. E quel nome da tradurre tout court da Triboulet in Triboletto? Il popolo non tribola. E il protagonista diventa Rigoletto. Una faticaccia insomma, ma ne valeva la pena. Con questa opera, debutto a Venezia nel 1851, prima della cosidetta trilogia popolare, che comprende anche Trovatore e Traviata, Verdi metterà in scena uno dei più bei personaggi del melodramma. Un uomo incattivito perché deforme e umiliato. Molto prima dellAlberich di Richard Wagner o del Tonio di Ruggero Leoncavallo. Rigoletto, a cui darà voce, volto e interpretazione il grande Leo Nucci (per lui sarà la 440ma volta: un record assoluto) è il buffone del Duca di Mantova, una sorta di satiro alla perenne caccia di nuove conquiste. Il «gobbo» è cattivo e mordace e sa che fino a quando riuscirà a far ridere il suo padrone potrà dire peste e corna dei «cortigiani vil razza dannata». Ma su di lui precipita la maledizione di Monterone, sbeffeggiato quando viene «a reclamar lonore» della figlia sedotta dal Duca. Marullo, Borsa e gli altri nobili gli rapiscono Gilda, la figlia, e la consegnano al Duca perché sfoghi le sue brame. Quando lo scopre, Rigoletto tenta una vendetta impossibile: far uccidere il Duca dal sicario Sparafucile. Ma la figlia si sacrifica per il Duca di cui è innamorata e quando il buffone lo scopre alza lo sguardo al cielo ricordando la maledizione di Monterone. Una trama un po inverosimile ma Verdi riesce a tratteggiare una figura veramente titanica, il re di tutti quelli che sono costretti ad abbassare il capo per salvare gli affetti più cari. Quando sgattaiola via dalla reggia e corre da Gilda canta felice «in altruom qui mi cangio!...»: da buffone «carogna» a padre amorevole. Tutto precipita quando scopre loltraggio fatto alla figlia «Solo per me l'infamia/a te chiedeva, o Dio.../chella potesse ascendere/quanto caduto erio...». Grida «vendetta», incurante che il bersaglio sia nientemeno che il Duca perché «nulla in terra più luomo paventa/se dei figli difende lonor». Apparentemente un totale rovesciamento della personalità del «gobbo», tenebroso e crudele quando insulta e sbeffeggia i cortigiani. Ma già allinizio della seconda scena del primo atto, uscito dal palazzo per andare da Gilda, scopriamo che quel ghigno satanico è solo una maschera, o meglio una corazza. Rigoletto è consapevole della propria malvagità «O uomini!.../ o natura!.../Vil scellerato mi faceste voi...!» quasi anticipando lo Iago di Otello e il suo «son scellerato/perché sono uomo/ e sento il fango originario in me». Ma il buffone va ben oltre «Oh rabbia!... esser difforme!... esser buffone!...Non dover, non poter altro che ridere!...Il retaggio d'ogni uom mè tolto... il pianto!...». E oltre che con la «natura matrigna», deve fare i conti anche con Borsa, Marullo e i nobili «Odio a voi, cortigiani schernitori!.../Quanta in mordervi ho gioia!../Se iniquo son, per cagion vostra è solo...». Dal 1851 dovranno poi passare altri 18 anni prima di trovare un simile sfaccettato personaggio, lAlberich dellOro del Reno di Wagner. È anche lui deforme, un Nibelungo uscito dalle viscere della terra. Vede le tre figlie del Reno e se ne innamora, ma queste si fanno gioco dei suoi sentimenti, e lui per vendicarsi le deruba delloro che custodiscono. Incurante della minaccia: «chi lo possiede perde lamore». Ma lui lamore lha già perso, e la scelta lhanno fatta altri per lui. Nel 1892 Leoncavallo poi darà vita a Tonio dei Pagliacci: anche lui gobbo, anche lui costretto a far ridere, anche lui deriso, in particolare dal suo capo comico Canio. Desidera sua moglie Nedda e lei non solo rifiuta il suo amore ma gli proibisce anche solo di dichiararlo.
E punisce la ribellione con la frusta urlandogli «hai lanimo siccome il corpo tuo difforme». Inevitabile la ritorsione: svela ladulterio a Canio che ucciderà moglie e amante. Crudele e vendicativo, certo, ma per gli oltraggi subiti. Come Alberich. E come Rigoletto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.