Sempre più longevi, ma infelici

di Sono passati pochi giorni dalla morte di Pesuke, lo Shiba mixed giapponese considerato dal Guinness dei Primati come il più vecchio cane del mondo. Ha vissuto ventisei anni e otto mesi che qualcuno vuole equivalgano a centotrenta anni di una persona. In realtà un cane di un anno è un soggetto adulto, che ha terminato il suo sviluppo, in grado di riprodursi e mentalmente formato. Non si può certo dire altrettanto di un ragazzino di sette anni. Alla stessa stregua, vediamo quotidianamente cani di quattordici anni d’età in perfetta forma che, usando lo stesso metro, dovrebbero equivalere a vecchietti di novantotto anni che saltano panchine a piè pari.
Cani e gatti di diciotto anni, oggi non strappano più un moto d’incredulità. Anche la media di longevità della loro vita è aumentata, al pari della nostra.
Come spesso accade però, c’è un’enorme differenza tra il gatto e l’uomo, mentre fra questi e il cane ci sono notevoli somiglianze. D’altronde il gatto, ammantato del suo mondo magico e, per certi versi oscuro, ci ha abituati a queste sue peculiarità che in nessun altro animale domestico è dato osservare. Guardate un gatto di diciotto anni che non abbia particolari malattie croniche. Non direste mai che è arrivato così a quella vetusta età. Ci arriva con il suo mantello lucido, fluente, colorato, l’andatura armoniosa, il salto morbido ed elegante, lo sguardo lucido e gli occhi di un cucciolo. D’accordo, dorme un paio d’ore in più del solito, ma come fare ad accorgersi che un gatto dorme venti ore anziché diciotto?
Ora guardate un cane di diciotto anni o una persona di novantacinque, che è un po’ il suo equivalente. A parte rarissime eccezioni ci arrivano con i capelli (o i peli) diradati, bianchi, le labbra cadenti, la bocca sgangherata, ingobbiti e raccorciati, l’andatura (se sono in grado di camminare) rigida a causa delle numerose artrosi che devastano le ossa.
Ed è di fronte alla vecchiaia, quella seria, quella invalidante, che il paragone tra la vita nostra e quella del cane s’impone. La ricerca medica, nei due rispettivi settori, ha allungato la vita fino a livelli che io giudico preoccupanti, perché, troppo spesso, il viatico per arrivarci è una serie infinita di angosce e tribolazioni per sé e per i propri familiari o proprietari che siano.
E il ricordo va a mio padre ultranovantenne e ai suoi ultimi mesi di vita, contrassegnati dalla quotidiana e insistente richiesta a Cristo che lo venisse a prendere. E non valevano le quattordici pastiglie al giorno ognuna delle quali somministrata per curare i danni dell’altra. E non ho vergogna di dire che, quando finalmente Cristo si è presentato davanti al suo letto non ho lottato perché facesse un passo indietro.
La gara a vivere di più è vincente, per uomini e animali, quando c’è la gioia e soprattutto la dignità di vivere.
Come per gli uomini, vi garantisco che anche i cani «sentono» quando questa dignità è persa e soffrono in silenzio un’agonia che talvolta egoisticamente noi prolunghiamo a suon di iniezioni e compresse.


Credo fermamente che quando, vecchi e stanchi, invocano il loro «Cristo» dobbiamo essere talmente equilibrati e sereni da lasciare che Lui li guidi verso quell’arcobaleno alla fine del quale sanno aspettarci, anche per l’eternità.

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