Venezia - «Non esiste la Storia, esistono gli storici, che poi siamo noi che ci interessiamo a questo o a quell’avvenimento, ci giochiamo e lo manipoliamo. Dal punto di vista dei fatti, nulla di ciò che racconto in La ronda di notte può essere smentito, e tuttavia la cosiddetta storia che li mette in ordine è finzione, propaganda politica, pubbliche relazioni».
Tutto si potrà dire di Peter Greenaway, il regista visionario e geometrico de I misteri del giardino di Compton House, Il ventre dell'architetto, Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante, tranne che manchi di ambizione. A Venezia arriva in concorso con un film, La ronda di notte, appunto, che è allo stesso tempo la soluzione di un delitto politico quattro secoli dopo la sua esecuzione, la descrizione di una passione amorosa, l’analisi di una società mercantile... Aggiungeteci una riflessione sulla essenza stessa della pittura, nonché del cinema, e avrete due ore e mezzo di pellicola davanti ai vostri occhi. Non sarà sempre entusiasmante e/o interessante, la si potrà definire qui e là noiosa, ma nell’insieme il gioco vale la candela.
Il titolo rimanda al celebre e omonimo quadro di Rembrandt, il ritratto di gruppo della milizia civica di Amsterdam dipinto nel 1642 e punto di partenza, secondo alcuni studiosi, per la successiva rovina sociale. «Se lo si esamina con attenzione, si vedrà come dietro a quei 34 personaggi che affollano la tela ci sia tutta una serie di riferimenti, indicazioni, sottolineature incongruenze, che ne fanno un vero e proprio j'accuse. È una sorta di scena del crimine».
Figlio di un mugnaio, tarchiato, di robusti, voraci e un po’ sordidi appetiti sessuali, iroso quanto vanitoso, Rembrandt fu un classico arrampicatore sociale destinato a pagare caro il suo tentativo di elevazione. «Più che un arrampicatore - dice Greenaway - lo definirei un outsider. Il tema dell’artista come outsider mi ha sempre affascinato... Un provinciale armato soltanto del proprio talento e desideroso di farlo valere. Uno che si illude che la sua arte lo metta al riparo, ma che anche quando è minacciato non riesce comunque a dipingere in altro modo che quello: senza abbellimenti né adulazioni, vero».
Pur essendo impastato di storia, La ronda di notte non ha nulla dei film storici tradizionali: ricostruzioni fedeli, masse in movimento, esterni. «Credo che l’errore di quel genere cinematografico sia nell’eccesso scenografico, nella preoccupazione della fedeltà. Ho preferito partire dai dipinti, lavorare in studio cercando in qualche modo di ricrearli, nel senso che lì la pittura era anche teatro, luci e ombre, angoli bui, gente in posa, gente che vuole essere guardata...
Inoltre, molte delle sue tele hanno per me il valore di veri e propri fermo-immagine, fermo-fotogramma e rimandano a una definizione del cinema come mondo dipinto dalla luce. Ecco, già nel Seicento Rembrandt faceva proprio questo... Se si vuole, oltre che un’indagine su un delitto, qui c’è anche l’indagine sul significato dell’immagine, la paura di non vedere, la volontà di non vedere. Si parte da un sogno di cecità, la cosa peggiore per un pittore, e ci si accorge che ci può anche essere una realtà fatta di cecità».
Ambientato nell’Olanda del XVII secolo, La ronda di notte è un film in costume con un linguaggio però più moderno e diretto rispetto al suo tempo. «La società dell’epoca era molto complessa, calvinista eppure tollerante, eroticamente bigotta e quindi con feroci pulsioni fisiche, specchio di una città, quella di Amsterdam, in formazione, dove ci si arricchiva velocemente e nessuno faceva domande sul come...
Il primo paragone che mi viene in mente è con la Russia di oggi».Rembrandt è Martin Freeman, le sue donne Emily Holmes, Jodhi May, Eva Birthistle e Natalie Press. Pittore carnale e sensuale, fu così anche nella vita. «Il sesso e la morte sono eterni. Tutto ruota intorno a loro».
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