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Le sette vite di Clinton: risorge diplomatico e mette in ombra Hillary

Le sette vite di Clinton: risorge diplomatico e mette in ombra Hillary

Quando il presidente era Bill e Hillary era una semplice first-lady, i giornali scrivevano che quella intelligente era lei. Ora che Hillary è segretario di Stato e Bill un politico in pensione, tutti scrivono che quello intelligente è lui. È l'insolito destino dei Clinton, la coppia più straordinaria della politica americana che dal 1992 non ha smesso di far parlar di sé, ma sempre fuori dagli schemi e con esiti imprevedibili.
Il 2008 doveva essere l'anno di Hillary prima donna a capo della Casa Bianca, fu quello di Obama (nel tondo). Anche il 2009 doveva essere, sebbene in tono minore, un anno a lei favorevole. Riconciliatasi con Barack, aveva l'opportunità di dimostrare le sue capacità di leadership alla guida della politica estera americana e invece il mondo rivaluta suo marito, grazie al suo blitz in Corea del Nord.
Per cinque anni Washington ha cercato di indurre l'ultimo regime stalinista a uscire dall'isolamento internazionale e a cooperare sul tema che più sta a cuore alla Casa Bianca: quello delle bombe atomiche custodite nei forzieri di Pyongyang. Nemmeno la Cina, unico vero alleato di Kim Jong-il, è riuscita a strappare concessioni significative. A Bill, invece, è bastato recarsi in visita privata nella capitale nordocoreana per ottenere la liberazione di due giornaliste americane, condannate ai lavori forzati dopo essere entrate senza visto nel Paese, e dunque per avviare un sorprendente, beneaugurante disgelo.
Le due giornaliste sono state accolte trionfalmente da un'America che in queste circostanze dà libero sfogo al suo patriottismo, mentre Obama, che in realtà non ha mai amato l'ex presidente, ieri lo ha elogiato pubblicamente: «Questo successo straordinario è merito suo». Il capo della Casa Bianca ha spiegato che si è trattato di una «missione umanitaria» e poi ha ben chiarito: «Il miglioramento delle relazioni bilaterali» passa per un’altra strada, quella «dell’accantonamento della costruzione di armi nucleari e della fine di un comportamento provocatorio».
Bill è risorto, ancora una volta. Nel 1994, dopo i primi due anni alla Casa Bianca, sembrava spacciato e invece nel '96 venne rieletto trionfalmente. La scappatella con Monica Lewinsky lo portò sull'orlo dell’empeachment, ma ne uscì più popolare di prima e quando sua moglie perse la nomination democratica molti pensarono che lui avrebbe perso ogni possibilità di conquistare la ribalta internazionale, sebbene solo nelle vesti di marito-consigliere. E invece rieccolo, con una svolta di cui pare sia stato l'unico artefice. Per quattro mesi ha seguito il caso delle due reporter, coordinandosi con il governo americano solo negli ultimi giorni.
E questo è un problema, perché il capo della diplomazia americana è sua moglie e perché proprio i nordcoreani un mese fa l'avevano denigrata pubblicamente, affermando che non aveva nessuna influenza nell'amministrazione Obama. Lo straordinario successo di Bill potrebbe apparire come una conferma di quella critica e di certo non migliora l'immagine dell'ex first lady.
In parte la Clinton sconta l'infortunio al braccio, che l'ha costretta a rinunciare ai viaggi per quasi due mesi. Al G8 dell'Aquila non era presente e nemmeno ai primi vertici con la Russia, sia quello di Corfù, che quello del Cremlino in occasione della prima visita di Obama a Mosca. Il guaio, però, è che nessuno ne ha sentito la mancanza.


La Clinton oggi appare come un segretario di Stato di second'ordine, come l'anonimo Christopher, non come Madelaine Allbright, né Colin Powell, né Condoleezza Rice. Ed è costretta a stupire, a riscattarsi per scongiurare il rischio che qualche diplomatico un giorno le chieda: tutto bene, cara Hillary, ma quando viene suo marito?

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