Paolo Giovanelli
da Milano
Il mercato italiano dellenergia rischia di passare da una petrolio-dipendenza a una gas-dipendenza, lasciando nel contempo in mano ad Eni ed Enel il controllo dei prezzi grazie alla loro posizione dominante: è il quadro delineato ieri da Alessandro Ortis, presidente dellAutorità per lenergia. Ma gli ad delle due società chiamate in causa non ci stanno e, mentre Fulvio Conti dice diplomaticamente: «Credo che non sia totalmente vero», Paolo Scaroni replica che «le terapie suggerite dallAuthority rappresentano un unicum in Europa».
Ma vediamo cosa ha detto Ortis. Innanzi tutto una conferma: le bollette elettriche italiane sono sempre le più care in Europa, anche se negli ultimi anni il divario è diminuito. Le imprese che consumano fino a 10 Gw allanno (quelle medie) pagano il 38% in più rispetto ai loro concorrenti europei al lordo delle imposte e il 34,5% al netto. Quelle più grandi pagano il 29,4% in più al lordo e il 30,7% in più al netto. Le famiglie il 44,3% in più al lordo e il 39,8% al netto. Dal che ne discende una doppia conclusione: che è vero che lenergia italiana è la più costosa, ma che è altrettanto vero che lo Stato ci mette del suo a far lievitare ancora di più il prezzo in due casi su tre.
Detto questo, secondo Ortis, alla base di tutto sta il fatto che in Italia la concorrenza stenta a decollare. Nel mercato del gas, che è oggi lelemento nodale della situazione, rimane «una forte concentrazione, in Eni, di attività riguardanti tutta la filiera di settore: produzione, importazione, trasporto e vendita. Le infrastrutture di interconnessione con lestero (i gasdotti, ndr) sono per la maggior parte utilizzate per contratti di importazione, legati a clausole che rendono difficile lutilizzo di capacità di trasporto marginali», mentre «lingresso sul mercato di nuovi operatori non è ancora stato in grado di trasferire ai consumatori i frutti della concorrenza». La via duscita? LEni dovrebbe cedere «con modalità competitive, parte della produzione nazionale e dei contratti di importazione a lungo termine». Ortis ha comunque anche notato che in Italia ci sono troppi distributori (circa 500) e troppo piccoli per essere in grado di ridurre costi e prezzi, la loro concentrazione va «incoraggiata». Senza contare che ci sono «opposizioni locali» ai terminali per limportazione via mare del gas (come a Brindisi) e che lEni sta dilazionando il potenziamento dei gasdotti già operativi. E Ortis ha sollecitato lapprovazione del decreto che permetta allEni di uscire da Snam Rete Gas.
Quanto allEnel, «il mercato elettrico è già a regime, ma le sue potenzialità sono frenate dallincombenza delloperatore dominante» che finisce per determinare i prezzi. Così sono in arrivo misure per impedire che alla Borsa elettrica loperatore dominante fissi il prezzo in alcune aree in modo indipendente dal comportamento dei concorrenti.
E qui è arrivata la novità: mentre lex ad dellEni, Vittorio Mincato, ormai da tempo affermava di essere disponibile a scendere al 5% in Snam, non appena fosse stato approvato il decreto, Scaroni ha puntato i piedi: «Nella direttiva europea non si parla di terzietà della rete (cioè di dare alla rete una proprietà diversa dallEni, ndr) - ha affermato - ma solo di separazione, né di separazione degli stoccaggi e nessuno si sogna di parlare di cessione dei contratti di lungo periodo». Quanto alla possibilità di scollegare il prezzo del gas da quello del petrolio, cui aveva accennato Ortis, Scaroni ha affermato che «è una chimera che si segue da diversi anni ma che non esiste in alcun Paese al mondo e che non è né nel potere dellEni di realizzare, né dellAutorità».
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