La sfida dei farmaci italiani: la ricerca cresce del 50 per cento

«Nel prossimo triennio prevediamo investimenti di gran lunga superiori al miliardo di euro»

Luigi Cucchi

«Vivremo più a lungo e migliorerà la qualita di vita», afferma Sergio Dompé, ricordando che la medicina avanza grazie al contributo determinante della ricerca farmaceutica. «Nel prossimo triennio - aggiunge - prevediamo investimenti in programmi di ricerca che superano di gran lunga il miliardo di euro, con un aumento del 50%. Abbiamo 31 progetti di farmaci in fase avanzata di sviluppo a livello internazionale, di cui sette nell’area oncologica già a livello di sperimentazione. Un nuovo antibiotico italiano ha già ottenuto negli Usa l’autorizzazione della Food and Drug Administration. Tante le opportunità da cogliere».
Sergio Dompé, milanese, 50 anni, presidente di Farmindustria. da quasi un anno, già presidente di Assobiotech per sette anni, è attivo da 29 anni nel mondo farmaceutico: ha sviluppato l’azienda di famiglia potenziandola fino a livelli di eccellenza nell’area biotecnologica. L’Associazione delle imprese del farmaco (Farmindustria) occupa 74 mila addetti, di cui 6 mila dedicati alla ricerca, 220 mila con l’indotto. Il mercato italiano delle specialità medicinali (22 miliardi di euro, farmacie e ospedali) è il sesto nel mondo ed il quarto in Europa.
«Le risorse finanziarie che dedichiamo alla ricerca – ricorda Dompé - sono tre volte superiori a quelle riservate agli utili. La percentuale dell’investimento in ricerca delle imprese farmaceutiche rispetto a quelle manifatturiere è passata nei Paesi occidentali dal 12,8% al 15,1% tra il 1968 e il Duemila. In Italia le aziende farmaceutiche investono il 6-7%, alcune superano il 10-12% del proprio volume di affari».
L’impresa farmaceutica vive di ricerca. «L’innovazione ci alimenta, ci consente di essere competitivi soprattutto con le economie dei Paesi emergenti. I fattori di eccellenza – aggiunge Dompé - vanno impiegati come base per costruire un’integrazione virtuosa del sistema. Esportiamo più della metà della nostra produzione farmaceutica. Ma facciamo ancora fatica a trasformare le nostre innovazioni in prodotti richiesti dal mercato, ad integrarci sul piano industriale, a creare valore aggiunto, ad ottimizzare le opportunità offerte dal nostro Sistema sanitario che è tra i migliori del mondo. Dobbiamo integrarci, creare sinergie, unire le competenze, essere meno individualisti, fare un sistema vincente che offra soluzioni terapeutiche universalmente riconosciute ed utili».
Un’indagine tra le aziende a capitale italiano più importanti, con oltre 24mila addetti (Bracco, Chiesi, Dompé, Italfarmaco, Menarini, Recordati, Rottapharm, Sigma-Tau, Angelini, Zambon), ha confermato che sono presenti farmaci italiani su numerosi mercati esteri. «Le imprese farmaceutiche italiane hanno grandi spazi di sviluppo. L’Italia – precisa Dompé - offre la possibilità di organizzare network clinici di alta e omogenea qualità per sperimentazioni innovative. Un’azienda italiana come Sigma-Tau ha messo a punto un’importante molecola per la cura di alcuni tumori che oggi è in fase di sviluppo nei più qualificati Centri di ricerca, altre sono oggetto di studio in collaborazione con l’Istituto oncologico europeo. Registriamo una grande vitalità. Le industrie farmaceutiche estere presenti in Italia hanno importanti Centri di ricerca come GlaxoSmithKline a Verona, Wyeth in Sicilia, Merck nel Lazio, Chiron in Toscana, AstraZeneca con un centro di eccellenza a Est di Milano (Caponago) che produce per tutto il mondo. Takeda, prima industria farmaceutica giapponese, conduce ricerche in Italia ed ha un’unità produttiva vicino a Novara che produce farmaci destinati ai mercati europei». Dopo le elezioni, cosa chiederete al nuovo governo?
«Per poter crescere abbiamo bisogno di regole certe. Le industrie che sviluppano la ricerca hanno un ruolo strategico, vanno attirate quelle che possono investire in Italia, che creano occupazione, che contribuiscono a far crescere la conoscenza». John Fitzgerald Kennedy disse: «Non chiedetevi cosa può fare il vostro Paese per voi. Domandatevi cosa potete fare voi per il Paese».
«I frutti della nostra attività, del nostro sviluppo - precisa Dompé - migliorano la qualità di vita degli italiani e creano ricchezza per il Paese. Le nostre esportazioni sono il risultato di qualità ed alta tecnologia. Con la nostra ricerca biomedicale contribuiamo a rendere strategica l’offerta dell’Italia. Un giorno potremo sempre più esportare salute, ospedali, farmaci, conoscenza, terapie innovative». La crescita della spesa sanitaria costituisce un problema anche nei Paesi occidentali. Come conciliare questa tendenza con le scarse risorse finanziarie? «È un problema di scelte e di priorità, ma la domanda salute è destinata ad aumentare. Gli sprechi vanno sempre combattuti ed i consumi vanno analizzati con attenzione. Ma numerosi sono i fattori che fanno crescere la domanda-salute in modo inevitabile: l’invecchiamento della popolazione, la scoperta di nuovi farmaci più efficaci e ben tollerati, i crescenti flussi immigratori, la tendenza di dare più qualità alla vita ed i tassi di inflazione, concorrono a far lievitare la spesa mediamente di un 10% all’anno. Si può incidere su alcune voci, il maggiore impiego di farmaci generici può contribuire a ridurla, ma un aumento del 3-4% annuale è fisiologico e per la salute dovranno essere aumentate le risorse disponibili».
La prevenzione potrà contribuire in modo determinante a contenere il diffondersi delle patologie. Solo lo 0,6% della spesa sanitaria italiana è destinato alla prevenzione, contro l’8% del Canada, il 5,5% dell’Olanda, il 4,8 della Germania, il 3,9 degli Stati Uniti. «Risparmiare sulla prevenzione è un grave errore.

Quando le risorse sono scarse il futuro appare sempre lontano. Stili di vita più sani sono fondamentali per la salute degli italiani. Rispetto al passato oggi è comunque cresciuta la sensibilità sui corretti stili di vita. La lotta al fumo è una realtà».

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