Cari amici del Giornale,
ho letto con attenzione la lettera della giovane 23enne fiorentina che avete pubblicato domenica scorsa con il titolo Cara Melandri, l'anoressia non si cura con una legge. La vostra lettrice racconta di essere stata anoressica e bulimica e ribadisce, giustamente, che i disturbi del comportamento alimenªtare sono malattie psichiatriche, dinanzi alle quali una legge rischia di essere inutile e inefficace.
Provo a rispondere a questa affermazione con tre semplici precisazioni.
1) Sottoscrivo pienamente l'osservazione della vostra lettrice: i disturbi alimentari sono malattie psichiatriche complesse e multifattoriali, una vera e propria epidemia che solo nel nostro Paese coinvolge quasi tre milioni di persone, soprattutto giovani donne. Non ci sono scorciatoie, insomma, e proprio per questo, la nostra azione è solo un piccolo tassello di un intervento più complessivo. C'è una grande sfida educativa che coinvolge la scuola e le famiglie. E c'è l'impegno del ministro della Salute Livia Turco, che si sta già attivando per elaborare risposte a questa emergenza. Certamente, una delle priorità è quella di rafforzare il circuito dei centri di cura pubblici e convenzionati, in particolare delle strutture residenziali come quelle di Todi e Chiaromonte - solo per citare due pratiche di «buona sanità» sparse sul nostro territorio.
2) Il Governo non è intervenuto con nessuna «legge contro l'anoressia». Il provvedimento a cui la ragazza fa riferimento è il Manifesto di autoregolamentazione della moda italiana contro l'anoressia, che il nuovo Ministero per le Politiche giovanili ha firmato lo scorso 22 dicembre insieme a Camera Nazionale della Moda italiana e Alta Roma. Si tratta di una sorta di «carta dei principi» di cui, su sollecitazione del Ministero, il mondo della Moda italiana ha voluto dotarsi, impegnandosi in un'importante operazione di responsabilità sociale di impresa. E sono d'accordo con la vostra giovane lettrice: noi abbiamo fatto solo una piccola cosa. Ma attenti a negarne l'utilità. Molte diete fai-da-te iniziano con l'ossessione di entrare in un vestito o di assomigliare ai modelli proposti dalle passerelle o dalle copertine dei giornali. Tutti gli esperti riconoscono l'esistenza di fattori socio-culturali fortissimi legati all'insorgenza di queste patologie. Se è vero, quindi, che queste malattie nascono da storie personali difficili e da sofferenze profonde, è vero anche che i modelli sbagliati possono essere, in molti casi, la scintilla che fa cadere le ragazze nella botola dell'autolesionismo e dell'autodistruttività.
3) In nessun punto il Manifesto proibisce alle taglie 38 e alle modelle con Indice di Massa Corporea inferiore a 18 di sfilare. A differenza di quello che scrive la giovane ragazza toscana, infatti, abbiamo scelto una strada diversa da quella spagnola, nella convinzione (maturata insieme agli esperti) che un disturbo alimentare non possa essere diagnosticato con una tabella o con un'operazione fatta alla calcolatrice. Peraltro, non sempre un IMC superiore ai 18 può escludere la presenza di un disturbo alimentare come la bulimia, che consente spesso di rimanere normopeso. Ecco perché la richiesta di un certificato medico in grado di escludere la presenza di un disturbo alimentare conclamato ci è sembrata la strada più seria da percorrere.
Aggiungo solo, per dovere di cronaca, che a fronte della lettera che voi avete pubblicato, al nostro Ministero ne sono arrivate decine, in questi mesi, di ragazze e di famiglie che ci ringraziavano per aver raggiunto, con questa campagna, già un primo, importante risultato: aver squarciato il velo della vergogna e del silenzio di chi vive queste malattie e aver offerto un primissimo segnale di attenzione istituzionale verso un problema che da tempo la politica aveva dimenticato.
*ministro per le Politiche giovanili
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