Politica

Sgarbi difende i graffiti del Leoncavallo: un museo a cielo aperto

Marta Bravi

da Milano

Milano un po’ come Berlino o Gerusalemme. Il nesso? Un muro che secondo qualcuno potrebbe entrare nella storia ed emulare la forza evocatrice del simbolo della guerra fredda e dell’unico avanzo del tempio di Salomone. Ieri l’assessore alla Cultura del Comune di Milano, Vittorio Sgarbi, ha effettuato l’ultimo sopralluogo al centro sociale Leoncavallo: «Chiederò alla sovrintendenza di vincolare questi muri per proteggere i graffiti che vi sono dipinti. Non possiamo permettere che queste mura, cuore pulsante della contemporaneità, vengano abbattute per poi rimpiangerle tra cinquant’anni. II Leoncavallo diventerà un museo a cielo aperto e sarà inserito il 14 ottobre nel programma della giornata del contemporaneo».
Insomma quelle pareti, che delimitano il tempio dell’illegalità da 30 anni, sono state consacrate all’arte e ai posteri, «come la Cappella sistina». Per impedire che si perdano frammenti preziosi di questa caleidoscopica opera verrà realizzato anche un catalogo («è difficile che un libro venga abbattuto»), edito da Skira, che sarà presentato il 14 ottobre, giorno in cui tutti i milanesi sono invitati al Leoncavallo per ammirarne i graffiti.
Sgarbi sa - questa la cosa che più gli piace - di scatenare le ire dei colleghi della giunta milanese. «La ragione della proprietà privata (cioè la famiglia Cabassi proprietaria dell’immobile che da anni chiede lo sgombero, ndr) prevale: le valutazioni estetiche non possono sdoganare la situazione di illegalità» commenta Maurizio Cadeo, assessore all’Arredo urbano. Sgarbi mette le mani avanti: «Sia chiaro che parlo da critico e da assessore alla Cultura. La notte che sono venuto qui (il 28 settembre, ndr) sono rimasto stupito dalla bellezza di questi graffiti. L’illegalità del luogo in cui si trovano viene, a miei occhi - forse solo ai suoi verrebbe a da dire - automaticamente condonata dal risultato finale», dice con un sorrisetto ironico. E per avvalorare la sua posizione, il critico tira fuori dal cilindro esempi illustri: «Baudelaire viveva una vita dissoluta, non per questo sono state bruciate le sue opere, anzi. Modigliani non era un esempio di integrità. Insomma l’arte è anche rottura e trasgressione, e non si può certo giudicare con un’ottica di poliziesco perbenismo. Come critico, ho il dovere di riconoscere che, in questo caso, l’illegalità ha portato a un’esplosione creativa». Non la pensa così il capogruppo di An in Consiglio comunale, Carlo Fidanza: «Se c’è una cappella in questa vicenda non è la Sistina ma è quella che ha fatto Sgarbi. A fronte di un’illegalità che si perpetra da decenni non ci può essere nessuna legittimazione, nè artistica nè tantomeno politica».
I cronisti non fanno in tempo a chiedere una replica alla polemica lanciata da Armani, Sgarbi fa da sé: «Inviterò Armani il 14. Una volta che avrà visto il Leoncavallo dovrà ricredersi - sghignazza -. Sono d’accordo sul fatto che le opere d’arte non vadano toccate, così come ritengo criminale che si scarabocchino palazzi d’epoca, fino a quelli di epoca fascista. L’architettura dagli anni Sessanta in poi, invece, deve essere ricoperta di graffiti per migliorarla. La vera illegalità, infatti, sono gli orrendi palazzi di questo squallido quartiere. I writer, così come fece Basquiat, sublimano questi scempi edilizi».


Adesso anche i cultori del «perbenismo poliziesco» avranno un muro su cui combattere o piangere.

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