Serena Coppetti
Il monumento a Pertini? Un pisciatoio. L’opera di Miró in via Senato? Uno sgorbio. È proprio il caso di dirlo: basta tirare un filo - in questo caso quello dell’Ago di Oldenburg di piazza Cadorna - e la maglia delle brutture cittadine si sfila in un batter d’occhio. Vittorio Sgarbi divide in due categorie gli orrori milanesi: quelli da buttare e quelli da spostare. Per rientrare nella seconda bisogna che il nome dell’artista sia della levatura di Oldenburg o di Miró. Davanti a loro insomma, tanto di cappello ma via l’opera. «Entrambe andrebbero sistemate in un parco, magari in periferia», dice il critico.
Con l’Ago e il filo ci metterebbe l’opera di Miró che se ne sta di fronte a un edificio del ’700 nell’elegante via Senato dall’amministrazione Pillitteri a oggi. «Perchè deve stare lì?» si chiede giudicandola prima uno «sgorbio» poi un «orrore» e comunque la prima cosa da eliminare in città. A seguire a stretto giro di posta il monumento a Pertini di Aldo Rossi in via Manzoni. «Non capisco come si faccia a dedicare a Pertini un pisciatoio. Se dedichi un monumento a qualcuno bisogna anche fare in modo che si capisca a chi è dedicato», tuona Sgarbi. Il «pisciatoio» anche definito «cubetto», «baracchetta» o «crimine» rientra nella prima categoria: «Va abbattuto». Senza rimpianti. Altra roba da buttare Sgarbi la trova a poca distanza, nei giardini di via Palestro. E non è il monumento a Montanelli. «Non riesco a capire chi lo critica. È un errore, certo. Va cambiata la testa perché non è riconoscibile e va ripatinato il corpo. Ma che ci fanno quelle quattro pecore con una specie di cavaliere proprio lì, a 30 metri, di un tale Rosenthal. Nessuno se n’è mai accorto. Inverecondo». Dunque, buttare.
Via anche «il pennacchio ai carabinieri» di piazza Diaz («è una beffa»), prosegue Sgarbi, «la pigna di San Babila che non si capisce che ci sta fare. Forse l’ha fatta pure un mio amico, Cacciadominioni... speriamo di no». Ma è un crescendo. E allora «nulla supera l’orrore di Vittorio Viganò all’Arco della Pace. Intanto l’Arco si chiama così perché ci si può passare sotto. Non ha senso il recinto che lo isola. Bisogna togliere i muretti, riaprire l’arco e eliminare l’illuminazione, quelle 4 palle fatte a satellite».
L’illuminazione meriterebbe poi un capitolo a parte di cui apriamo solo la pagina «Castello» («va rifatta in modo decoroso, che non faccia l’effetto luna park come è ora») e le colonne di San Lorenzo «è diventata fetida con quella foresta di luci». Più chiaro di così. Sgarbi grida anche al rispetto per il palazzo della Ragione di piazza Mercanti inorridito per «i giochetti degli architetti su un edificio romanico» e chiede attenta vigilanza per l’Arengario di piazza Duomo: «Non vorrei che un mirabile esempio d’architettura fascista su cui sta lavorando Italo Rota possa risentire della Pop art». Buttando uno sguardo al futuro va dritto ai grattacieli che dovrebbero innalzarsi alla vecchia Fiera. «Padoa-Schioppa ha detto che bisogna limitare le spese. Indurrei a non dare soldi per fare questi scempi - chiosa -. In una città padana, orizzontale, perché bisogna fare brutti grattacieli che cercano di scimmiottare New York?».
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