Milano - Allora non era una meteora. Quando è arrivata, così glamour e così bionda, Shakira sembrava l’ennesima mini popstar usa e getta, roba da un paio di singoli di successo e poi arrivederci. Anno 2002: tutti cantavano Whenever wherever. Estate 2009: il singolo She wolf è piombato a bruciapelo ma le radio lo hanno subito benedetto trasmettendolo a valanga, segno che il prossimo cd, atteso per l’autunno, sarà uno dei più comprati dell’anno. Il video, poi. Sorprendente: costo minimo, resa massima. C’è lei quasi sempre dentro una gabbia in versione contorsionista, molto sensuale per la verità. E intendiamoci: sempre che riuscisse a contorcersi così, sdraiato con le gambe dietro al collo, il novanta per cento delle sue colleghe risulterebbe solo volgare. Lei no, e già questo fa la differenza. «Mi sono sentita intrappolata in una gabbia per tanti anni» ha detto a Usa Today. Per poi spiegarsi meglio: «La cultura, l’educazione, le attese della società. Negli ultimi anni mi sono chiesta: che cosa vuole davvero Shakira?». Uscire dalla gabbia, ovvio. D’altronde è nata a Barranquilla, in Colombia, miseria pura. A otto anni ha scritto la sua prima canzone, così si dice. Ma a quattordici, e questo è sotto gli occhi di tutti, ha esordito con un disco diventando in pochi anni una delle cantanti latinoamericane più importanti del decennio. C’era, in quella ragazzina scatenata, un fondo di quella sensualità intellettuale che non scivola via nemmeno se ci provi. Tanto per dire, è una che ha affinato il suo inglese leggendo i poemi di Walt Whitman, mica l’ultimo numero di Vogue. Ma si sa: a queste cose non ci crede nessuno, molto meglio spargere fango sempre e comunque. Gabriel Garcia Marquez non c’è cascato e ha scritto: «La musica di Shakira è inimitabile perché è dotata di un ritmo che nessun altro può reggere come lei. Data la sua giovane età e la sua innocente sensualità, debbo convenire che la sua musica è una sua invenzione». Certo, c’è il marketing, gli abbinamenti di album in inglese e in spagnolo, i servizi fotografici, come quello appena pubblicato dal magazine argentino Gente, che hanno aiutato a trasformarla in una icona trasversale e in un sex symbol che fa fine e non impegna. E c’è una storia d’amore che sembra quella di Evita con Juan Peron. Da nove anni è la compagna di Antonio de la Rùa, figlio dell’ex presidente dell’Argentina. Fissi. Zero scandali, zero gossip. «Mi sento come una bambina di otto anni con le responsabilità di una moglie di 32», ha detto a Gente. Ma qui e là, sempre più spesso, si lascia scappare che «quando superi i trent’anni, il tuo corpo ti chiede un figlio». Insomma, forse è questo il suo punto di forza, far parlare alla sua musica una lingua che tutti comprendono. Mica come Mariah Carey. O Madonna. Tutte perse nella metafisica della popolarità. Anche quando sale sul palco, sempre a piedi nudi, Shakira ha quell’esitazione che prende i debuttanti davanti al loro primo pubblico. Passa qualche canzone, il tempo di ingranare la marcia e poi eccola lì, inarrestabile. Ha già girato il mondo tre o quattro volte con tournèe sterminate, ha fatto il tutto esaurito nei posti più difficili eppure ancora oggi dice di essere «un’artista che ha definitivamente bisogno dell’approvazione del pubblico». Chi dice così, conserva sempre la tremarella, anche dopo un secolo di carriera. E conserva, comunque, quel soffio di sincerità che il pubblico, mica stupido, riesce a intercettare.
Perciò il brano She wolf di Shakira è arrivato quasi di nascosto nel bel mezzo dell’estate ma ora è già uno dei più ascoltati mica solo per merito dell’apparenza o delle «due ore e mezzo di palestra al giorno e di tanto pesce e spinaci», come dice lei. È colpa di quella cosa, il talento, che o ce l’hai oppure scordati di impararlo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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