Chi la vede oggi ha l'impressione di trovarsi di fronte a una donna nuova. Di un'eleganza asciutta e affascinante, la chioma bionda che, non più allo stato brado, morbida fluisce sulle guance piene, l'occhio inquieto che vibra tutt'uno alla bocca, le mani che si muovono flessuose ad accompagnare le parole.
Parole che non enunciano più, come una volta, gli eventi in scena al Franco Parenti, che ha fondato trentacinque anni fa, ma l'evento tout court. Che questa milanese d' adozione, da sempre innamorata della nostra città, vuole con tenacia verificare qui e subito, nel luogo in cui è nata artisticamente lei, Andrée Ruth Shammah. Vogliamo ascoltarla?
Cara Andrée, da anni il Franco Parenti era chiuso per lavori in corso, tanto che è stata costretta a emigrare in altri spazi. E adesso che la quarantena è finita gira voce che, da lei, tutto cambierà...
«Da molto tempo, ormai, tutto congiura per minimizzare, occludere, se non addirittura far piazza pulita del teatro, l'arte più nobile creata dall'uomo: il luogo della pubblica discussione cara ai greci dove si dibatte il nostro presente e il nostro futuro. È per questo che io dico basta al prodotto finito, all'inutile confezione-regalo, allo spettacolo asettico e perfetto come un drink, che lascia intatte le certezze acquisite».
Una ricetta per abbattere questo pregiudizio?
«Al nuovo Franco Parenti lo spettatore non accederà dall'ingresso ma dal retro dove un'équipe di giovani teatranti lo condurrà a visitare i camerini. All'entrata non ci sarà più la cassa, che io voglio situata all'uscita dove chi è soddisfatto di ciò che ha visto potrà, se vuole, dare un piccolo contributo per le spese vive. L'ufficio stampa sarà abolito e in cambio ci sarà un appartamento a disposizione del pubblico per commentare, criticare, offrire suggerimenti sul nuovo corso del nostro lavoro di teatranti che, oltre a spettacoli ospiti e alle riprese di alcune produzioni, si occuperà in prevalenza di percorsi».
Percorsi... che vuol dire?
«Vuol dire regalare a chi ci vuol seguire la possibilità di essere parte integrante dell'evento in corso sotto i suoi occhi. Dall'incontro di boxe interrotto a vista da un assolo di jazz freddo, a Corrado Tedeschi che evade dal suo stereotipo di interprete comico fino a Giorgio Albertazzi che s'interrogherà e ci interrogherà, recitando, sul potere catartico della danza. Ma questo è ciò che vedrete dopo, nel corso di una stagione tendenzialmente anomala».
Vuol dire che la prima tessera di questo totale rinnovamento sarà un'altra?
«Voi non vedrete ma interagirete con l'inizio di Ondine, il capolavoro di Giraudoux. Nell'atrio vi scontrerete coi detriti della scenografia, dialogherete col protagonista, un Cavaliere che vi spiegherà il perché della sua attrazione per la donna che vive d'acqua e non di terra. Tanto da coinvolgervi in un'avventura di cui voi soli avrete la chiave».
Com'è arrivata a una decisione così radicale?
«Ho compiuto 60 anni, un'età che impone una svolta se si ha un po' di stima per il proprio cervello, a torto trascurato a favore di organi più appariscenti».
Via, sia sincera: non sarà solo questo il motivo che l'ha...
«Che mi ha persuasa ad agire così? Sì, è vero. C'è unaltra ragione che mi ha spinta a intervenire allo scoperto, ed è la pigrizia di tanti miei colleghi in regia».
Pigrizia...
«Premesso che io amo Milano al punto di aver rifiutato a priori, quando potevo benissimo permettermelo, di abbandonarla per far la scritturata di lusso che vaga da uno Stabile all'altro, detesto l'eterno piagnisteo di certi teatranti che continuano a chiedere soldi alle istituzioni cittadine senza mostrare, a chi dovrebbe erogarli, di cosa sono capaci per meritarseli».
Non le sembra di esagerare?
«Neanche un po. Per questo apro per prima la via. Siamo gli eredi di Porta e del Manzoni, e ancora stiamo con le mani in mano?».
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