Politica

A Shangai i manager di Buddha studiano economia all’università

I monaci seguono corsi di inglese, di marketing dei prodotti religiosi e di strategia aziendale

Massimo Malpica

da Roma

Buddha di Giada, affari d’oro. Persino nella Cina che riesce a declinare con disinvoltura il comunismo con il capitalismo, i grattacieli con le basse case degli hutong, le concessionarie della Rolls Royce con le macilente biciclette, gli alberghi opulenti per turisti e nuovi ricchi con le masse di disoccupati costretti a dormire nei sottopassaggi delle autostrade urbane di Pechino, qualcuno storce la bocca quando il cocktail è tra sacro e profano.
Se poi a tentare l’improbabile mix sono i monaci buddisti di uno dei più celebri templi di Shangai, lo Yufosi (il «Budda di Giada», appunto), la spiritualità contaminata dal libero mercato riesce ancora a stupire e a conquistare, anche nel mare di contrasti del Celeste impero (economico), la prima pagina del quotidiano in lingua inglese «China daily». Pronto a sottolineare come questo santuario di quasi un ettaro e mezzo, nel quale vivono e pregano 280 monaci, è reso unico dal «successo con cui riesce a mantenere la purezza spirituale della religione in sintonia con il desiderio mondano del profitto».
Una vocazione, quest’ultima, scoperta a ottobre del 2004, quando Chang Chun, sorridente e paffuto monaco vestito di arancione che si fregia del titolo di «general manager» del santuario, decide di affidare le incombenze gestionali del monastero a una società specializzata nell’amministrazione di proprietà immobiliari. Per agevolare i rapporti con i «clienti», appena un mese dopo, quindici monaci del Tempio di Giada si presentano all’Università di studi internazionali di Shanghai per imparare l’inglese e le altre principali lingue dei turisti più assidui nelle visite.
Ma questi non sono che blandi precedenti in confronto all’ultimo colpo di scena. Che porta la data del 6 settembre scorso, giorno in cui diciotto tra monaci e laici del monastero hanno affollato la prima lezione del master in business administration organizzato dalla Shanghai Jiaotong university. E complimenti anche all’ateneo cinese, capace di precorrere i tempi e organizzare un corso di sei mesi in «Gestione di tempio buddista» tra le specializzazioni della sua Antai management school. Le sette discipline previste dal programma, racconta il «China Daily», affrontano questioni legate al neonato management monastico - dal «marketing dei prodotti religiosi» a lezioni di strategia aziendale - ma approfondiscono anche testi classici come «L’arte della guerra» di Sun Tzu, il celebre e antico trattato di tattica militare divenuto un must per i moderni manager. Insomma, se «l’oro convince perfino il diavolo a spingere la mola», come recita un proverbio cinese, non ha difficoltà nemmeno a far macinare affari a un monaco. «Grazie a questo programma - spiega ancora Chang Chun - vorremmo imparare in che modo viene amministrato il mondo secolare». E una volta appresi i segreti del business, Chang spera di combinare «filosofia del management e credo buddista» con un obiettivo ambizioso: «Trasformare il nostro tempio in un monastero modello all’interno di una metropoli», un luogo di culto che non abbia timori a confrontarsi con la religione del profitto. Già oggi, osserva il quotidiano cinese, sulle pareti del tempio del Buddha di Giada ci sono vistosi annunci dei «servizi» offerti, con tanto di listino prezzi. Tra le attività messe in piedi per «rispondere alle esigenze dei visitatori», come osserva ancora Chang Chun, c’è la «pulizia e benedizione» della propria auto. E all’ingresso si paga un euro di «tassa per l’incenso». Dai mercanti nel tempio ai mercanti del tempio, il laboratorio-Cina sperimenta dunque l’ennesima, spregiudicata novità. Consapevole, però, dei rischi che il gioco può comportare. «Ormai questo monastero è così “market-oriented” che il suo mistero religioso è molto indebolito», si lamenta con il quotidiano un visitatore amareggiato, Liu Jian.

E lo stesso presidente della scuola di specializzazione dell’università di Jaotong, Wang Fanghua, mette in guardia i «suoi» allievi in tunica: «Speriamo di far capire ai monaci che, anche nel management, non sempre un metodo basato sul profitto funziona».

Commenti