Siamo al voto di scambio: una tassa sull’Irpef in cambio di una tassa sulle barche. Esiste un progetto di sviluppo? Siamo felici se invece di ragionare su dove si voglia davvero portare questo sfortunato Paese ci si accontenta del dispetto? La realtà è che si pietiscono «punizioni» e «colpi» a Tizio e Caio per far digerire provvedimenti scomodi per il proprio elettorato. Va bene, cambia pure le pensioni, aumenta tranquillamente le aliquote, però mi raccomando, tira un bel siluro alle barche. Che pena. Che vergogna vedere i grandi strateghi annuire composti dinnanzi a un Monti che sta apprestando una manovra originale come un aumento della benzina o delle sigarette e moderna come l’Irpef di Visentini del 1973.
Quando qualche mente geniale del Pdl partorì ad agosto l’aumento delle aliquote sopra i 90mila euro di reddito (il famigerato contributo di solidarietà) Pier Ferdinando Casini tuonò: «La manovra è invotabile perché tartassa i soliti noti. La tassa sul ceto medio non ha niente di solidale, niente di europeo. Il contributo di solidarietà è una pessima idea che è venuta a qualcuno». Erano solo tre mesi fa, non decenni. Adesso che si parla di inasprire le aliquote oltre i 75mila euro, il leader Udc, accompagnato da Rutelli e dal pallido (ex?) liberista Della Vedova, annuisce pensoso e parla di misure amare ma necessarie. Splendido esempio di serietà e coerenza. Del resto si tratta di 800mila noti ricchi che fra tasse, addizionali e contributi hanno già versato quasi metà del loro reddito al fisco con netti (per chi ha dichiarato 75mila) attorno ai 3500 al mese. Un paio di figli ed ecco servito il capitalista. Il governo «tecnico» non avrà problemi a fare i conti se costui potrà mai permettersi il Suv da 100mila euro guidato allegramente da qualcuno che, statisticamente, è probabile che abbia dichiarato zero o quasi zero (sono 21 milioni le dichiarazioni di redditi annuali da zero a 15mila euro).
Per Bersani e i sindacati invece le pensioni non vanno toccate. Nessuna distinzione fra quelle «meritate» (pochissime) e quelle supportate da contributi ridicoli rispetto a quelle che forse toccheranno ai giovani. Non vanno toccate e stop. Beh, stop... se però mi tassi per bene le barche possiamo parlarne, sa com’è, l’equità. Altro che equità, questa è la politica dei sottomultipli: trovare una categoria sufficientemente esigua da stangare in modo che venga bene come trofeo da mostrare senza perdere voti. I posti barca in Italia sono 150mila (un quinto quindi dei già residuali 800mila cittadini che dichiarano più di 75mila euro) e sono frutto di un evidente vantaggio derivante dalle detassazioni. Da quando nel 2003 fu abolita la tassa di stazionamento, il settore, guarda caso, sperimentò quella famosa crescita che tutti adesso cercano, con un incremento negli anni a seguire pari al 10% annuo, concentrato proprio nelle imbarcazioni medio piccole (l’87% del fatturato della nostra cantieristica nel 2007, ultimo anno pre-crisi). Grazie a detassazioni e semplificazioni il settore è arrivato a contribuire al pil italiano per oltre 5 miliardi di Euro. Un esempio virtuoso da stroncare, qualcuno potrebbe infatti capire che per crescere le tasse vanno tolte, non aumentate.
Ed ecco servita la tassa sui posti barca come trofeo della caccia al ricco. Chissà poi dov’è questo plutocrate in nave. Forse i nostri politici (e tecnici) sono abituati a frequentare St.Tropez e pensano che in tutta Italia ormeggino solo megayacht. Eppure basta un’occhiata ad uno qualsiasi dei porti turistici del nostro paese che non sia Porto Cervo d’estate per vedere qualche imbarcazione grande che però troneggia in mezzo ad una selva di gozzetti e bagnarole sulle quali il «ricco» non salirebbe nemmeno se stesse affogando (e infatti la nave la ormeggia ad Antibes: in Italia vengono prodotte il 50% delle navi da diporto ma solo l’1% finisce sotto bandiera italiana). L’evidenza non serve.
L’importante è cercare il sottomultiplo giusto da colpire per propaganda. Nessuno che abbia il coraggio di dire che il nostro rapporto gettito fiscale/pil è già più alto di quasi il 25% rispetto a quello della Germania e che questa marea di tasse, per quanto riguarda l’Irpef, è pagata per più di metà da meno del 10% dei contribuenti.
Fatta salva quindi la necessaria repressione dell’evasione (qualsiasi metodo, anche il più estremo andrebbe bene), la cosa logica sarebbe dire alla Germania che le tasse se vogliono se le alzino loro e sgravare invece tutto il paese dalla cappa fiscale, in particolare questo gruppuscolo di eroi della dichiarazione. Invece si fa il contrario: si perseguono gli incauti con beni al sole per portare doni alla Merkel che chiederà sempre più soldi. Equità, appunto. Anzi, rigore coniugato a crescita. Suona benissimo.
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