Cultura e Spettacoli

Si svela a Montecitorio il sogno patriottico di Sartorio

Il restauro del fregio della Camera dei Deputati di Giulio Aristide Sartorio (1860-1932), ha ridato ai grigi illividiti delle figure un loro madreperlaceo bagliore e un tocco di colore che s’era sbiadito negli echi delle diatribe parlamentari e che, se non ha ripreso un tono davvero smagliante, è pur tuttavia d’un rosato color carne: di un rosa che abbiamo già visto nelle figure di Michetti, al quale il nostro artista s’è certamente ispirato; così che tutte quelle donne scarmigliate sembrano un po’ tante figlie di Jorio. E attraverso Michetti c’è anche quell’aura dannunziana e fin de siècle che riconosciamo nelle fotografie degli efebi di Taormina del barone tedesco von Gloeden, del quale Michetti era sodale.
E non a caso questa origine fotografica riappare in effigie in Sartorio il quale, per realizzare realisticamente il suo fregio con l’Allegoria della Storia della Giovane Italia (1908-1912), ha fatto ricorso alle fotografie da lui stesso eseguite e poi proiettate sulla tela. E, come se von Gloeden non bastasse, ci si ritrova anche l’aria della Secessione che non poteva certo dispiacere al grande architetto siciliano Ernesto Basile, progettista dell’aula parlamentare in stile Liberty. Ma l’aura neoclassica del fregio, più che derivata dagli artisti della Secessione, ha origini effettivamente classiche. Si sente riverberare il fregio del Partenone al quale Sartorio s’è certamente ispirato; non solo copiandone vari dettagli, peraltro stupendi, ma lasciando a tutta la sua opera il colore e il timbro della dura pietra scolpita. E pur tuttavia rimane nel complesso dell’opera un’aria molto italiana, il segno di un pittore che già ha dipinto, come in una cronaca, le vicende della Grande Guerra infondendo loro un vivo spirito di patriottismo, spirito che si avverte anche nel Fregio, benché un po’ più spento.
Curata da Renato Miracco, la mostra («Il fregio di Giulio Aristide Sartorio», Roma, Palazzo Montecitorio, fino al 20 luglio) presenta il risultato del restauro, al momento ultimato solo nella prima metà e condotto da Gianluigi Colalucci, e illustra la genesi dell’opera, lunga oltre 105 metri e alta più di 3. L’esposizione vera e propria è preceduta dai suoi bozzetti preparatori e dallo stesso modello con il quale Sartorio si aggiudicò la commissione (27 centimetri d’altezza per 4 metri di lunghezza) che si conserva nella stanza del ministro dell’Interno al Viminale.

È dunque questa un’occasione unica e irripetibile per ammirare quel turbinio di figure in sequenza (in totale 285), che simboleggiano le allegorie dell’arte, della cultura e di tutte quelle virtù nazionali di cui qui, con una tecnica vibrante e pastosa nelle pennellate dense di colore e di lumeggiature, si celebra l’apologia e che Ugo Ojetti definì «la più larga e forte visione lirica del popolo italiano».

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