È ufficiale: il mondiale 2006 è finito ieri sera, in quel di Pretoria, tre anni dopo. Grazie al cielo, verrebbe da aggiungere. Perché è questo il modo migliore per ripartire da domani, quando l'Italia chiuderà le valigie e lascerà il Sud Africa resistendo alla tentazione inevitabile di allestire un patibolo per il ct e di procedere ad un trapianto collettivo di un'altra Nazionale che non c'è. Diciamolo chiaro e forte. Le rivoluzioni, nel calcio, non hanno mai prodotto grandi risultati, semmai puntuali delusioni. Ricordate, per esempio, le esperienze dell'Inter prima di Calciopoli: ogni estate smontava a e rimontava la squadra fallendo puntualmente l'obiettivo. Così per le nazionali che intraprendono lo stretto pendio della rivoluzione. Andò così così a Vicini, dopo il fallimento di Messico '86 con Bearzot e gli altri superstiti del mondiale di Spagna.
Nel serbatoio dell'under 21 ci sono alcune gemme che si possono trasformare in progetto di campioni: tre nomi su tutti, Santon, rimasto a guardare per noie muscolari, Marchisio e Balotelli se decidesse di mettere fine alla sua carriera di «guappo». Aggiunti a Giuseppe Rossi, da considerare ormai esponente a tempo pieno della nuova Italia, possono rigenerare il club Italia seppellito ieri sera dal Brasile di Kakà. Tre gol in una frazione più due legni sono il rendiconto di un deficit clamoroso e umiliante. Inutile prenderla alla larga: il Brasile ha preso a pallonate l'Italia. E sul piano fisico gli azzurri sono apparsi affidabili per 10-12 minuti al massimo. Troppo poco per pensare di mettere sotto il Brasile di ieri, nemmeno il più forte della sua storia. La terribile sconfitta di ieri ha segnalato quel che è ormai indispensabile. Meglio congedare, al più presto possibile, gente come Luca Toni: la sua carriera di bomber in azzurro ha numeri minuscoli e la sua sconfortante performance di ieri sera è solo l'ennesima conferma di quel che abbiamo capito negli ultimi mesi. Nello stesso elenco di Toni bisognerebbe inserire Grosso, Camoranesi e trovare per l'attacco qualcosa di più consistente rispetto allo stesso Gilardino, Iaquinta non può essere considerato l'assaltatore principe.
A un certo punto Lippi ha tradito un mezzo sorriso, una smorfia in panchina. Non l'aspetta un bel periodo. Perché cominceranno a fargli le pulci sulle convocazioni, sulle scelte tattiche, sui metodi applicati per favorire il passaggio da un mondiale all'altro.
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