Per una volta conta il quadro, non solo la cornice. La cornice è quella suggestiva lucidata ieri da Adriano Galliani, prima di volare verso Madrid e la sua cattedrale calcistica, il Santiago Bernabeu. «Questa è la partita delle partite, tutte le tv del mondo la manderanno in onda, siamo i due club che hanno vinto il maggior numero di coppe dei Campioni, 16 trofei in tutto», ricorda il dirigente berlusconiano di lungo corso, stregato dalla bacheca unica dei due club che fa pensare a Real-Milan come al vero derby dEuropa. Fa notizia persino il gemellaggio degli sponsor: stasera il Milan deve correggere la scritta in win.com per evitare di fare scopa con la scritta sulle casacche bianche del Real.
Dentro la cornice prendono posto le altre cifre che accreditano lo strapotere madridista, 29 gol fin qui collezionati nelle 9 sfide, contro gli stenti (7) dei milanisti e rilanciano le ambizioni di Filippo Inzaghi allo sfacciato inseguimento del record di Gerd Muller (gli manca solo un gol). Dalle parti di Madrid, di solito, in forza di quel po po di storia, larmada blanca, come viene definita ora dopo i 250 milioni spesi da Florentino Perez, esercita il miedo escenico sui rivali che si presentano in Champions. «Non andiamo in una situazione di sudditanza psicologica» garantisce Galliani ed è forse una delle poche garanzie di casa Milan, a poche ore dalla sfida che viene interpretata da taluni come una sorta di giudizio universale: può definitivamente rilanciare Leonardo o mettere subito a rischio la qualificazione nel girone.
Il quadro è tutto occupato dalla sagoma di Ricardo Kakà, protagonista per una notte, pronto ad oscurare persino Ronaldinho che a Madrid riuscì a disintegrare un altro Real e a riscuotere lapplauso a scena aperta del pubblico madridista. Le sue parole raccontano delluomo oltre che del professionista cinico e spietato. Qualche cedimento ai buoni sentimenti, ma senza grandi finzioni. «Se cè un rigore, lo tiro. Se segno, non faccio baldoria, io rispetto la storia del Milan, anche se lavoro per il Real» sono le frasi che suoneranno come musica alle orecchie di chi si considera ancora vedovo del fuoriclasse brasiliano e non accetta lidea (oltre che la realtà) della sua cessione. «Sarà dura vedere Kakà con il Real» confessa lo stesso Galliani, che pure fu costretto, qualche mese prima, a imbarcare su un volo privato papà Bosco e portarlo tra le braccia di Florentino Perez. Ma Kakà è uno che conosce bene, anzi benissimo i suoi sodali di Milanello e sa bene che se vuoi eliminare il Milan, meglio farlo subito, adesso che è ferito e ancora sotto choc, piuttosto che attendere la finale, a maggio, proprio a Madrid e ritrovarselo in salute e rimpolpato da qualche operazione di mercato a gennaio. «Preferisco di no» la risposta secca e perentoria alla domanda scontata (vuoi ritrovare il Milan in finale?). «Sarebbe importante eliminare una squadra come il Milan che nei momenti importanti della Champions poi esce sempre fuori e finire primi nel girone» la filosofia elementare di Kakà che non fa sconti ai sentimenti. «Non so come reagirò in campo, è la prima volta che gioco contro una ex squadra, il Real è più famoso nel mondo, specie quando va in Giappone e negli Usa» segnala come un vero direttore marketing. Non riesce a risparmiare giudizi appuntiti su Ronaldinho («non so cosa gli è successo negli ultimi tre anni, perché è calato tanto») né su Pato («troppe responsabilità sulle spalle di un 20enne») prima di raccontare una verità semplice, semplice, sul Milan più recente: «Negli ultimi due anni ha cambiato la politica di mercato e vinto poco». Elementare, Watson.
Quelle parole, pesanti come pietre, hanno lasciato il segno. Nesta, prima di chiudere lultimo spiraglio alla Nazionale («ho detto che non torno e non cambio idea»), le ha rispedite al mittente: «Evidentemente ci teme». Forse.
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