«Siamo ancora famosi perché per noi il successo non conta»

Si guardano «allo specchio» con la certezza che - dopo oltre 45 anni sulle strade del beat e del rock - il loro spirito non è cambiato; si guardano «allo specchio» per un esame di coscienza (quasi) quotidiano con i fan, e quello specchio riflette dieci nuove bellissime ballate dei Nomadi, dai suoni ricchi e cangianti e dai testi impetuosamente realisti, dal messaggio intimo e al tempo stesso universale. «Non sempre è bello vedere ciò che esce dallo specchio - sottolinea il leader storico della band Beppe Carletti -, ma bisogna affrontarlo senza paura, anche se non è quello di Harry Potter, anzi, tutto il contrario».
Così dal confronto, dal riflesso che si fa riflessione nasce Allo specchio, trentunesimo cd dei Nomadi, a tre anni dal blasonato Con me o contro di me, figlio della loro vittoria a Sanremo con Dove si va. Un album costruito dai fan, nel vero senso della parola. «I brani del disco nascono da composizioni scritte dai nostri fan. Ad ogni concerto i ragazzi ci portano i loro nastri, persino le vecchie musicassette con le cose che hanno scritto. Alcune le sentiamo subito nostre e loro ci offrono la possibilità di rielaborare testo e musica. Così nascono canzoni pure. Non lavoriamo più con autori professionisti perché, giustamente, lo fanno per mestiere, ma noi vogliamo l’entusiasmo. Da sempre il nostro slogan è “prendere dalla gente per ridare alla gente, alla Robin Hood”». Così nasce la carica ribelle di La vita è mia, «che incita la gente ad essere artefice del proprio destino in un mondo in cui dove l’apparenza di una bella cravatta conta più della sostanza dell’anima»; l’inno acustico alla vita La dimensione in feroce contrasto con la ruvidità rock di Senza nome dedicata all’amico ucciso in Afghanistan; l’intimismo delle sofferenze di cuore di Qui; l’appeal folk-latineggiante di Lo specchio ti riflette (il singolo che gira bene nelle radio) in duo con Pau Dones, voce dei Jarabe De Palo.
Anche i Nomadi cedono alla moda del duetto? «Siamo una specie di ditta artigianale, un collettivo creativo di amici, non diventiamo pazzi per i duetti. Ne facemmo uno nel ’97 con Baccini. Ora la casa discografica ci ha dato la massima libertà di scelta. Sono partito per Madrid per incontrare Pau, voce dei Jarabe che è “un nomade di pensiero”; abbiamo passato tre giorni insieme e sono tornato col brano già registrato».
E così eccoli qui, pronti a cavalcare un’altra volta la vetta delle classifiche - in mezzo a tanti ragazzini cui potrebbero fare da genitori - in un eterno viaggio tra la via Emilia e il West. «Il nostro spirito aveva fame di nuove canzoni. Noi coltiviamo la musica con passione, come la terra. Un esempio? Nel 1969, per incidere Ho difeso il mio amore, cover di Nights In White Satin dei Moody Blues, io e Augusto facemmo Novellara Parigi e ritorno senza fermarci per comprare un mellotron e riprodurre i suoni esatti del pezzo. Che fatica e quanti soldi spesi: ma questo è l’entusiasmo che ti porta avanti per 45 anni. Siamo ancora qui perché non abbiamo mai cercato il successo. Ai ragazzi consigliamo: suonate perché amate la musica, non perché cercate a tutti i costi il successo». Una bella stoccata a X Factor. «No, è un bellissimo programma che aiuta la musica. Soprattutto mi piacciono i Bastard Son of Dionisus, potrebbero andare lontano. Ma anche lì al fondo di tutto c’è la sfida per arrivare. Noi veniamo da un mondo che non c’è più. Suonavamo i pezzi dei Beatles nelle balere emiliane; arriva un nostro amico e ci presenta un ragazzo allampanato dicendo: “lui fa il cameriere ma canta bene”, era Augusto. Cantò Il blues del mandriano e un paio di pezzi in inglese. La gente impazzì e lui divenne uno dei nostri. In balera si suonava un’oretta poi ci si fermava a chiacchierare; il nostro concerto ha quello spirito. Siamo arrivati al successo per caso e imponendo il nostro stile. Oggi è tutto giocato sull’immagine, ti cambiano il look, il suono». Ma a Sanremo non hanno rinunciato e hanno pure vinto: «Però siamo andati da Nomadi con una canzone da Nomadi. Sanremo è una bella vetrina; è un circo che monta le tende, polarizza l’attenzione per una settimana e poi svanisce». Una band che appartiene a un altro mondo, eppure mantiene solide radici nell’attualità. Chiedetelo alle migliaia di persone che seguono i loro 200 concerti all’anno, a chi ha prenotato Allo specchio facendogli conquistare il disco di platino prima dell’uscita, a chi li aspetta in tournée, al via domani a Milano e martedì a Roma con ospite Pau dei Jarabe. Tanto loro sono tutti d’un pezzo ma anche ecumenici: suonano nei teatri, nelle arene e negli oratori. «Ci hanno dato dei comunisti e dei ribelli però molti prelati famosi hanno detto pubblicamente che si identificano nei brani dei Nomadi. Anche a livello etico siamo molto severi: Augusto mi chiamava il maresciallo. Da quando siamo insieme niente spinelli né droghe varie, al massimo Lambrusco.

Rimasi stupito quando Paul McCartney disse di aver scritto alcuni successi sotto l’effetto della droga. È un cattivo messaggio per i giovani. Io amo la musica di Woodstock, non gli atteggiamenti distruttivi, questa è la regola dei Nomadi».

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