Siamo infelici Ma la colpa non è di Milano

Generalmente si dice che nelle grandi città si vive male, che la cittadina di provincia invece facilita i rapporti umani, semplifica i problemi della quotidianità fatta di code per pagare le bollette, di traffico, di parcheggio della macchina. Si tratta di una mezza verità, perché ci sono piccole città caotiche, inquinate e disorganizzate e metropoli, come Milano, che hanno un buon decentramento amministrativo, una realtà commerciale di quartiere e una buona rete di trasporti pubblici che potrebbe alleggerire il traffico urbano.
Detto questo, la città ideale non esiste e, quindi, non esiste un cittadino che può avere il privilegio di disporre a suo piacimento ciò che gli serve e dare ciò che gli è richiesto senza fatica e senza rottura di scatole. Ci si deve arrangiare.
Tuttavia noi non scegliamo di abitare una città perché ha un buon decentramento amministrativo, buoni parcheggi, eccetera, eccetera, e, dunque, non immaginando che là si conduca chissà quale vita felice. O ci siamo nati, e vi restiamo, oppure è una decisione determinata dalle possibilità di lavoro, da esigenze familiari, da condizionamenti economici.
La questione allora su cui fare chiarezza è quale tipo di relazione ci può eventualmente essere tra la mia felicità e la vita in una città. Per esempio, Milano.
Milano è una città che dà molto e promette molto. Rispetto a Roma non ha puzza sotto il naso, non ti chiede da dove vieni e se hai protezioni. Premia se sai lavorare e offre molte opportunità per salire scale sociali, politiche, economiche. Dipende da noi. L’insuccesso e l’infelicità che conseguono non dipendono dalla città. Milano è semplicemente un grande terreno di possibilità.
Poi, se vogliamo, ci sono i disagi legati alla quotidianità, indubbiamente propri di una grande metropoli. Possiamo affermare che saremmo più felici se non dovessimo fare la coda alla posta? Ma non prendiamoci in giro! Potremmo essere meno seccati, potremmo dire di essere più contenti se anziché tre sportelli ne funzionassero sei per smaltire la ressa. La felicità è ovviamente un’altra cosa.
Spesso la confondiamo con la contentezza, con la capacità di essere pazienti. La contentezza è quello stato d’animo che ci sottrae dall’insoddisfazione, ci mantiene sereni anche di fronte agli inconvenienti. E la pazienza è la porta d’accesso alla saggezza. Però, se porto pazienza mentre attendo in coda, questo non significa che io sia felice: semplicemente sopporto un disagio senza fare drammi.
Insomma, non colpevolizziamo Milano se siamo infelici, guardiamo noi stessi e cerchiamo di capire quali siano i nostri limiti, accettandoli.

E poi non si pensi che stati d’animo come la felicità o l’infelicità si possano insegnare: appartengono al nostro carattere e sono il frutto di una lunga educazione che inizia nella famiglia e prosegue attraverso le esperienze che la vita ci sottopone.

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