Cultura e Spettacoli

Siamo tutti sulle ali dell’albatro di Baudelaire

Agli inizi de I fiori del male, Baudelaire si rivolge al lettore e mentre descrive momenti di attrazione per il male, per il vizio, per il Diavolo, tutto questo sembra poco significativo rispetto al vizio più brutto, più immondo e più maligno, a quello che afferra l’uomo e lo schiaccia nella sua inutilità, che è la noia.
Charles Baudelaire dice a noi lettori che quella noia ha l’occhio gonfio d’involontarie lacrime, perché noi lo conosciamo quel mostro, «tu, lettore, lo conosci», conosci la noia, «ipocrita lettore, - mio simile - fratello».
Questa parte fa capire che Baudelaire si occupa di qualcosa che ci riguarda, dice qualcosa che non è soltanto la sua esperienza ma che sa che sentiamo anche noi. Questi versi sono quelli dell’ammiccamento e del coinvolgimento, del passaggio della poesia dalla dimensione parnassiana di una descrizione lontana a qualche cosa che invece ci entra dentro, si insinua dentro di noi. Il lettore sente effettivamente che alcune delle cose che sono descritte gli appartengono.
Ma fra questi versi vorrei leggere quelli con cui si apre solennemente questa raccolta, da Benedizione a L’albatro, che dà il segno del limite dell’uomo, del suo desiderio di volare alto per poi invece esserne impedito da una goffaggine, da una misura imperfetta. «Spesso, per divertirsi, i marinai/ catturano albatri, grandi uccelli di mare,/ che seguono, indolenti compagni di viaggio,/ la nave che scivola sugli amari abissi./ Appena deposti sulla plancia,/ questi re dell’azzurro, vergognosi e timidi,/ se ne stanno tristi con le grandi ali bianche/ penzoloni come remi ai loro fianchi./ Che buffo e docile l’alato viaggiatore!/ Poco prima così bello, com’è comico e brutto!/ Uno gli stuzzica il becco con la pipa,/ un altro, zoppicando, scimmiotta l’infermo che volava!/ Il poeta è come quel principe delle nuvole,/ che snobba la tempesta e se la ride dell’arciere;/ poi, in esilio sulla terra, tra gli scherni,/ con le sue ali di gigante non gli riesce di camminare».
L’indurti a rischiare, l’accettare la sfida, è trovarsi nella condizione di disorientamento, rispetto invece alla certezza e alla luce che la fede che scende dall’alto dà alle coscienze. In fondo sono rassicuranti il tormento e l’estasi, il dolore e la speranza, le condizioni di chiaroscuro, che la fede consente. Sfidare questo assetto, e muoversi soltanto nella luce della ragione, comporta molti rischi.

Baudelaire ce li indica per farci capire la tentazione e la forza di questo buio che rinuncia alla fede.

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