Siena, il fascino di una pittura tardiva ma squisita

Pur consapevole delle vibrazioni che giungevano da Firenze, l’arte senese del tardo Quattrocento manteneva la forte matrice gotica irrazionale e altamente spirituale, visionaria. Era un’arte che continuava a produrre opere incantevolmente eteree, non immuni da espressive distorsioni del reale. Rimaneva insomma un’arte «arretrata» che gli storici hanno sempre liquidato come il sintomo del declino della città che viveva gli ultimi sussulti di una repubblica indipendente. Del resto anche lo studioso inglese John Pope-Hennessy, che la trovava troppo seducente per relegarla nel dimenticatoio e cercava di accendere una scintilla di interesse fra gli esperti del Rinascimento, invitava a un approccio irrazionale e scriveva «La pittura senese del Quattrocento è un’acqua stagnante... la sua bellezza elusiva, l’eleganza delle sue tecniche richiedono un’attenzione speciale...».
Cinquant’anni dopo lo studio di Pope-Hennessy si cerca di correggere una negligenza ingiustificata. La bella mostra allestita alla National Gallery di Londra con il sostegno del Monte dei Paschi di Siena, «Renaissance Siena, Art of a City» si fa paladina dell’arte di un Rinascimento perduto, presentandola in Inghilterra per la prima volta e al tempo stesso proponendola allo scrutinio degli studiosi in «un quadro d’insieme più complesso del fuorviante argomento lineare caro agli storici», dichiara il curatore Luke Syson. Un deliberato mosaico insomma, che a Londra riunisce i pezzi superstiti della maestosa Assunzion della Vergine di Matteo di Giovanni, dipinta intorno al 1474 per la Pala d’Altare degli Agostiniani ad Asciano, e una serie di pannelli raffiguranti antichi eroi ed eroine dipinti intorno al 1490 e finiti nelle collezioni di Budapest e Baltimora. Nonché diverse opere di Domenico Beccafumi separate fin dal 1600 e all’origine appese nelle stanze di Francesco Petrucci, nipote di Pandolfo il Magnifico, tiranno e mecenate della città.
La disamina abbraccia l’ultimo secolo della fragile repubblica senese, dall’elezione nel 1458 del Papa Pio II Piccolòmini all’arrivo nel 1530 del presidio spagnolo di Carlo V che retrocede Siena alla condizione di un feudo imperiale. Un periodo turbolento, che influenza la produzione artistica, aggrappata alla sicurezza ideale del passato. Ma nell’età di Verrocchio, Michelangelo, Raffaello e Giorgione, l’arte a Siena, sia pure priva di curiosità intellettuale nella prospettiva, nelle proporzioni, nella struttura del corpo umano o nelle cose scientifiche, non era tuttavia completamente stagnante, come questa rassegna dimostra, sia nelle opere scintillanti di Francesco di Giorgio, il più grande degli artisti del Quattrocento a Siena, sia nel vigore di Matteo di Giovanni o nella delicata eleganza di Neroccio de’ Landi.

Se alcuni dipinti sono decisamente vecchia maniera, vedi la squisitamente bizantina Madonna con Bambino di Sano di Pietro (1460), il linguaggio personalissimo, sinuoso e inquieto di Domenico Beccafumi, cui è dedicata tutta l’ultima sala con una ventina di opere, è un discorso a sé, che illustra la centralità della tradizione senese e il suo debito stilistico tanto nei confronti dei maestri precedenti quanto del nuovo naturalismo dei contemporanei di Roma e Firenze.
LA MOSTRA
«Renaissance Siena: Art of a City», alla National Gallery di Londra, fino al 13 gennaio. (Edizione in italiano Silvana Editoriale). Info: www.nationalgallery.org.uk.

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