Il Quirinale non commenta le dichiarazioni di Silvio Berlusconi e resta sulle posizioni espresse nei giorni scorsi. Il premier ieri, in un intervento televisivo, si è detto convinto che lo scioglimento delle Camere «non sia assolutamente nei pensieri del presidente della Repubblica». Per il capo dello Stato resta l’allarme lanciato durante il colloquio con il presidente del Consiglio di venerdì scorso, a fronte di aspri contrasti istituzionali e politici che richiederebbero uno sforzo di contenimento se non si vuole mettere a rischio la legislatura.
Al di là delle interpretazioni del premier, proprio l’accento posto sui rischi di scioglimento anticipato delle Camere a causa di una sostanziale paralisi dell’attività continua a polarizzare l’attenzione della politica, dei commentatori e dei costituzionalisti.
Potrebbe Napolitano sciogliere le Camere in presenza di un governo formalmente in carica? Potrebbe il presidente del Consiglio negare la controfirma al decreto di scioglimento? Sarebbe certamente una prassi inedita. Ma alcuni costituzionalisti - in particolare i presidenti emeriti della Consulta Cesare Mirabelli e Antonio Baldassarre - sostengono che lo scioglimento con il governo in carica sarebbe possibile e che la firma di Berlusconi sarebbe solo un atto dovuto, dovendosi considerare quello di scioglimento un potere autonomo del capo dello Stato. Qualora la controfirma fosse negata, Napolitano potrebbe sollevare conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato di fronte alla Corte Costituzionale. Inoltre si cita un precedente di scioglimento con il governo in carica e con il consenso del premier: quello del 1994, quando a Palazzo Chigi c’era Carlo Azeglio Ciampi.
Al momento, sono solo ipotesi di scuola. Ma è significativo che ci si soffermi a studiarle. Sul piano politico, comunque, l’allarme di Napolitano modifica gli scenari attorno a cui si discute.
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