Cultura e Spettacoli

Silvana Mauri confessioni a tutta pagina

«Ritratto di una scrittrice involontaria»: memorie editoriali dallo zio Valentino Bompiani al marito Ottiero Ottieri

Fra le tante intuizioni di Sigmund Freud, va ricordata certamente la distinzione tra il concetto di memoria e quello di ricordo: il primo dislocabile nella sfera della ragione, l’altro nell’ambito del mondo affettivo. Distinzione così spiegata nei suoi termini radicali: «La memoria è una lucida codificazione del passato (non importa quanto lontano); il ricordo è l’evoluzione di un avvenimento, meglio ancora di un’emozione-evento che è sì collocato in un tempo passato, ma che si perpetua nel presente divenire dei nostri sentimenti».
Tutto ciò affiora alla mente per naturale associazione di idee scorrendo, fin dalle prime righe, il libro del tutto atipico Ritratto di una scrittrice involontaria di Silvana Mauri (Nottetempo, pagg. 293, euro 15, a cura di Rodolfo Montuoro) ove l’autrice, oggi ottantaseienne, ripercorre - appunto tra memoria e ricordi - la sua doviziosa, frammista avventura esistenziale e professionale intersecando avvenimenti capitali (il fascismo, la guerra e i conseguenti, agitati decenni) e figure, personaggi di quel «mondo a parte» abitato da editori, intellettuali, scrittori, poeti (Valentino Bompiani, Corrado Alvaro, Elio Vittorini, Pier Paolo Pasolini) di volta in volta contesto e deuteragonisti di un’età ormai cristallizzata, irripetibile.
Inoltrarsi passo passo nella lettura di questo stesso libro strutturato in tre diverse fasi riconducibili alla vita medesima di Silvana Mauri - ovvero Ricordi, lettere e sogni; Diario editoriale (1944-1945); Ritratti e conversazioni - è ripensare, rivivere un passato, in parte o per intero, comune a noi tutti. Certo, i lettori più attempati, troveranno qui, immediate e ancora divampanti, emozioni e passioni di tempi angosciosi o esaltanti, senza che per questo siano indotti a soggiacere ad un meccanico, patetico «amarcord», ma anzi riflettendo con razionale distacco su scorci e fatti di bruciante drammaticità.
Ragazza di famiglia borghese romana, Silvana Mauri si vede sbalestrata negli «anni di ferro» Trenta e Quaranta - il periodo del fascismo imperante, della guerra scatenata, dei bombardamenti - dalla capitale a Milano dove, precettata dallo zio materno Valentino Bompiani, si trova presto inserita nell’appassionante e (pure) non facile mondo editoriale. Nascono di qui conoscenze, frequentazioni di personaggi eccellenti dell’intellighentia milanese e, altresì, affinità elettive con artisti, giornalisti di sicuro talento (da Franca Valeri a Camilla Cederna) che costituiranno via via per Silvana Mauri i referenti, gli amici, i complici di una lunga stagione di fervori creativi e, insieme, di memorabili esperienze esistenziali, affettive.
C’è poi da dire che Ritratto di una scrittrice involontaria si addensa progressivamente in una scrittura diretta, riflessiva e colloquiale insieme, che per certi versi supera, annulla ogni astrazione artificiosa, tanto da disporsi sulla pagina come un rendiconto oggettivo (e, in parte, lo è per l’impostazione originaria nella forma di diario tutto contingente) e da sublimarsi in un racconto continuamente interrotto, ma anche puntualmente riaperto, continuato in un flusso di memoria che tutto ingloba, tutto testimonia con alacre, crescente schiettezza.
Momenti-cardine di una simile ricognizione retrospettiva sono innegabilmente taluni «incontri per la vita» quali quelli col giovane Elio Vittorini, Cesare Zavattini, col provvido zio-Pigmalione Valentino Bompiani e, massimamente, con il compagno della sua fervida storia personale, il marito Ottiero Ottieri, scrittore e studioso di originalissimo estro (suoi gli indimenticati romanzi Donnarumma all’assalto, Tempi stretti, ecc.), con l’amico di gioventù e di più tardi anni, il dilettissimo Pasolini. E proprio a quest’ultimo Silvana Mauri, oggi al colmo della sua piena, prodiga maturità, riserva la rievocazione più trepida, commossa: «Come è accaduto che io, ragazza borghese, senza radici paesane, eterosessuale, e lui allora tutto pervaso e raccolto di poesia casarsese... studente diligente, omosessuale, ci siamo inseguiti per tutta la vita, scritti, raccontati, raggiunti... dentro la sua vita che sempre più si separava dalla mia...?».
La risposta a un tale quesito è tutta implicita nel finale congedo con cui Silvana Mauri conclude questa sua lunga dolceamara incursione nella sua vita, nel suo passato: «Adesso ho pochissime forze, ma non posso certo dire di avere una vecchiaia tragica... gli amici li ho avuti e li ho sempre, tanti, carissimi. Gli scrittori della casa editrice, e poi tanti tanti altri... e anche... i figli, i nipoti...

Ora vivo d’amore per loro».

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