Silvio, il Caimano sfuggito a tutte le trappole

Quando nel 1993 Urbani gli portò uno studio sullo strapotere della sinistra, cercò di convincere le forze moderate a resistere alla deriva. Ma nessuno lo capì

Massimiliano Lussana

La domanda di Curzio Maltese, editorialista di Repubblica che ha fatto dell’antiberlusconismo la sua cifra stilistica e la sua ragione di vita, è migliore di mille suoi articoli: «Ti rendi conto che sono dodici anni che tutti ci occupiamo di uno?». Non è una domanda. È la fotografia dell’era Berlusconi in politica. Un’era che - negli anni, nei mesi, nelle settimane e nei giorni scorsi, persino ieri pomeriggio per lunghe e interminabili ore - in moltissimi hanno dato per chiusa, scrivendo in anticipo il coccodrillo del suo leader-caimano. Sono gli stessi che avevano dato quell’era chiusa già nel 1996, dopo la sconfitta elettorale del Polo. Quell’era, invece, è aperta, apertissima. Con Forza Italia ancora primo partito e il lungo testa a testa della notte.
1993: L’APPELLO AI MODERATI
Non riescono a capire, non riescono a capirlo. E continuano a non capire l’Italia dei moderati. È dall’autunno del 1993 che non capiscono, da quando Giuliano Urbani portò a Silvio Berlusconi uno studio che dimostrava come la sinistra, la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto, con il 34 per cento dei voti aveva conquistato l’80 per cento dei Comuni alle amministrative e - dopo lo scioglimento delle Camere da parte di Oscar Luigi Scalfaro - si apprestava a fare il bis in Parlamento. Il tutto in un panorama nel quale le forze del pentapartito, tranne la sinistra democristiana, erano state massacrate dalle inchieste di Tangentopoli. A quel punto, con quei dati e in quella situazione, Berlusconi iniziò a fare un giro delle sette chiese fra i rappresentanti dei partiti moderati che avrebbero dovuto opporsi a questa deriva. Ma nessuno ascoltò il suo appello. Soprattutto, non lo ascoltarono Mariotto Segni e Mino Martinazzoli.
LA DISCESA IN CAMPO
Nacque così, il 26 gennaio 1994, il discorso della «discesa in campo», con cui Berlusconi annunciò ufficialmente il suo impegno politico: «L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare». In quel discorso c’era il manifesto programmatico che sarebbe stato il filo azzurro di tutto l’impegno politico di Berlusconi. Con il sogno finale: «Per noi e per i nostri figli di un nuovo miracolo italiano».
NASCE IL BIPOLARISMO
Da quel momento, fra ironie sul «partito di plastica», sul «cielo azzurrino» del palco per le convention, sui sondaggi di Gianni Pilo e sulla provenienza da Publitalia di molti dirigenti azzurri, nasce Forza Italia. E nasce il Polo ad assetto variabile: al Nord Berlusconi si allea con la Lega e Ccd (Polo delle libertà), al Sud con Ccd e Alleanza Nazionale (Polo del Buon Governo), riuscendo con questo stratagemma a far convivere leghisti ed ex missini, che nemmeno si parlavano. In una botta sola Berlusconi inventa il bipolarismo e il centrodestra. Risultato: Forza Italia primo partito e vittoria del Polo. A dire il vero, al Senato, manca qualche voto per la maggioranza, ma il senso di responsabilità di alcuni senatori centristi permette la nascita del primo governo Berlusconi. E due mesi dopo, alle Europee, Forza Italia trionfa con il 30,6 per cento dei voti.
L’«ANTIPOLITICO»
Nasce un nuovo modo di fare politica, con l’organizzazione dei club e strutture di partito, alcune completamente innovative, come Azzurro Donna, i Seniores e persino il progetto Musica Azzurra, con le bande. Nasce, soprattutto, un nuovo modo di parlare di politica, di pari passo con la mutazione genetica dell’elettorato, dipinto come un mondo di yuppies e invece sempre più radicato e popolare. Ed è questa la vera forza di Silvio Berlusconi, quella che non capiscono e non capiranno mai: l’identificazione totale con il modo di sentire del suo popolo. Persino i discorsi a braccio hanno un loro schema bene definito e preciso. Da un lato, una scaletta, con i temi forti del discorso, ma dall’altro un contatto diretto con il pubblico che - con i suoi interventi dalla platea - detta la nuova e definitiva scaletta, il tono e il ritmo dell’intervento di Berlusconi. Intervento che spesso, tanto più scandalizza i benpensanti, tanto più è in linea con il popolo azzurro.
Perché Berlusconi il politico ha fatto dell’antipolitica - nel senso migliore che la parola sa avere, cioè la capacità di non adeguarsi mai ai tristi riti della politica politicante - la sua forza. Senza peraltro rinunciare alle finezze della politica che ha imparato a frequentare nel corso degli anni, senza poter sempre contare sull’appoggio granitico degli alleati.
E poi, in questi dodici anni, il Berlusconi politico-antipolitico ha dimostrato una straordinaria capacità di non arrendersi mai. Quella che non hanno capito mai e continuano a non capire. L’ha dimostrato dopo l’avviso di garanzia a mezzo stampa, per un’inchiesta poi finita nel nulla, inviatogli durante il G7 di Napoli. L’ha dimostrato dopo il ribaltone del dicembre 1994, quando il cambio di maggioranza della Lega, ma soprattutto la manovra di Palazzo che vedeva nel Quirinale di Oscar Luigi Scalfaro un suo punto di riferimento, sembravano portarlo su un binario morto; con Lamberto Dini che restava di mese in mese alla guida di un governo formalmente tecnico, ma in realtà sempre più politico e di centrosinistra. L’ha dimostrato dopo la sconfitta elettorale del 1996, dovuta alle mancate alleanze con la Lega e con Rauti, quando tutti lo credevano inadatto a resistere per cinque anni all’opposizione e lui fu capace di guidare e di gestire la «traversata nel deserto». L’ha dimostrato ai tempi della Bicamerale, quando il dialogo con il centrosinistra sembrava imbrigliarlo in un ruolo che non tutti i suoi elettori capivano. L’ha dimostrato facendo di Forza Italia un partito strutturato, quando la struttura dei club non reggeva più. L’ha dimostrato riprendendo il dialogo con la Lega, dopo gli insulti del Carroccio e anche contro la volontà del suo elettorato.

L’ha dimostrato, infine, in queste ultime settimane, quando tutti lo davano per spacciato.
La forza del Berlusconi politico è quella di parlare al suo popolo e di capire il suo popolo. Chi vive solo nel Palazzo non potrà mai capirlo.

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