Sim di consulenza, quale modello di business per affermarsi sul mercato

Nella grande partita della advisory finanziaria a pagamento ci sono le sim di consulenza. Si tratta di soggetti ultra regolamentati, sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia per i profili di contenimento del rischio e la stabilità patrimoniale e alla vigilanza della Consob

Sim di consulenza, quale modello di business per affermarsi sul mercato

Nella grande partita della advisory finanziaria a pagamento ci sono le sim di consulenza. Si tratta di soggetti ultra regolamentati, sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia per i profili di contenimento del rischio e la stabilità patrimoniale e alla vigilanza della Consob per quanto riguarda la trasparenza e la correttezza dei comportamenti, che intendono ritagliarsi uno spazio importante nel mercato nascente della consulenza finanziaria. Come? Se ne è parlato nel corso di una tavola rotonda dal titolo «Sim di consulenza, quale modello di business per affermarsi sul mercato» organizzata da BancaFinanza per dibattere su alcuni dei temi più sentiti dalla categoria:  la necessità di regole uguali per tutti gli operatori della consulenza, la riduzione del peso degli oneri amministrativi, l’estensione all’attività di ricezione e raccolta ordini con obblighi di patrimonio meno elevati. Fino al delicato aspetto dei  rapporti con i fee only planner e con i promotori finanziari e ai vincoli imposti all’operatività quotidiana dall’offerta fuori sede. Alla tavola rotonda, che è stata coordinata dal direttore di BancaFinanza Angela Maria Scullica e dal giornalista Marco Muffato, hanno partecipato: Riccardo Ambrosetti, presidente di Ambrosetti asset management sim; Cesare Armellini, amministratore delegato di Consultique sim; Zeno D’Acquarone, presidente di Advin Partners sim; Emanuele Facile, amministratore delegato di Financial Innovations sim; Andrea Nanni, responsabile alm (asset liability management) di Prometeia advisor sim; Rosario Rizzo, presidente e amministratore delegato di Galileo Finance sim; Massimo Scolari, rappresentante del tavolo di lavoro delle sim di consulenza; Antonio Spallanzani, amministratore delegato di Abs consulting sim; Marco Toledo, consigliere delegato di Tosetti Value sim. Ed ecco che cosa è emerso.
Domanda. Perché un privato  o un’azienda dovrebbe rivolgersi a una sim di consulenza piuttosto che a una banca o a una rete di promotori finanziari?
Toledo. Negli operatori tradizionali vedo due criticità. La prima è un’offerta limitata di prodotti, anche in un sistema ad architettura aperta. La seconda è che il promotore finanziario, così come la banca, è remunerato sul prodotto e non sul servizio. La remunerazione sul prodotto comporta un conflitto di interessi, perché essa varia a seconda del prodotto che consiglia. Problemi che sono estranei alle sim di consulenza e ai consulenti indipendenti. 
Ambrosetti. Secondo la nostra visione, la consulenza è soprattutto un approccio culturale: chi ha vissuto tanti anni nella fornitura di prodotti non è facilmente convertibile nell’approccio di advisory. Quindi per noi il discorso è semplice: specializzazione nella consulenza, che è un’attività molto diversa dalla vendita. Il consulente per noi deve essere pagato dal cliente. Punto. Così saltano tutti i problemi di conflitto di interessi: il cliente mi paga se io creo un vero valore e per creare un vero valore evidentemente devo essere molto specializzato.
D’Acquarone. Gli effetti del conflitto di interessi di questo sistema, che si basa fondamentalmente sul collocamento di prodotti, hanno compromesso il rapporto fiduciario tra l’investitore e l’intermediario. Le sim di consulenza si pongono sul mercato come un soggetto non legato a realtà o a logiche bancarie o di prodotto. All’interno del mondo delle sim di consulenza esistono poi modelli operativi e target di clientela diversa. Non solo: un cliente che ha asset depositati su più banche necessita di una cabina di regia, attraverso la quale avere il controllo del patrimonio. Chi ha asset depositati presso un’unica banca, invece, nel consulente cerca un’alternativa al gestore.
Rizzo. Il vantaggio della sim di consulenza è quello di poter offrire una visione d’insieme della situazione patrimoniale e finanziaria del cliente, che tenga conto esclusivamente dei suoi interessi, essendo svincolata dalla necessità (propria degli operatori che si occupano anche di gestione e collocamento) di massimizzare le masse di investimenti e di vendere prodotti specifici. Il cliente, dopo aver avuto una visione d’insieme, potrà rivolgersi a una banca o a un promotore e sottoscrivere solo quei prodotti che apportano davvero valore aggiunto.
Facile. Quando a suo tempo decidemmo di partire in Italia con questa attività ci focalizzammo esclusivamente su imprese e su banche. Una scelta non casuale: il vero problema è, infatti, far percepire il valore della consulenza e dell’indipendenza ai privati. Perché se il cliente lo percepisce come un costo aggiuntivo non lo pagherà.
Nanni. Chi ha un mandato d’agenzia come il promotore difficilmente può essere autonomo. Per il consulente, invece, l’indipendenza è un presupposto.
Ambrosetti. C’è o non c’è il conflitto di interessi degli intermediari tradizionali che può giocare a nostro vantaggio? Ritengo di sì. Noi non siamo pagati da chi realizza il prodotto ma siamo remunerati da chi fino a ieri subiva il prodotto e l’offerta. Se si torna al concetto di un concorso alla remunerazione da parte di terzi diventa per noi meno semplice distinguerci.
Armellini.  Non è vero che i privati sono restii a pagare una parcella per il fatto che non ne capiscono le ragioni. Consultique opera da quasi dieci anni sia con clienti privati che con aziende e istituzioni. Dato che con il nostro intervento il cliente realizza e percepisce un concreto valore aggiunto, non abbiamo mai avuto problemi di parcella. Negli Stati Uniti, secondo l’ultima ricerca realizzata dalla Cfp Board of Standards, il 50% degli investitori americani ritiene il consulente remunerato esclusivamente a parcella e quindi senza conflitti d’interesse, il soggetto di riferimento per le proprie decisioni di investimento. Circa un quarto degli operatori presenti sul mercato sono consulenti o società di consulenza fee-only, che non hanno alcun rapporto commerciale con intermediari e società prodotto. Le reti di vendita e le banche, oltre a essere remunerati per la distribuzione con retrocessioni sui prodotti, hanno altre tipologie di conflitti di interesse che riguardano, per esempio, la best execution e il turnover dei portafogli.
D. Come per i consulenti indipendenti, anche per le sim di consulenza il nemico sembra essere il promotore…
Facile. Ma perché partiamo dal presupposto che chi vende i prodotti non fa l’interesse del cliente? Il rapporto del promotore con il cliente non si esaurisce con la vendita.  Se vende strumenti finanziari che produrranno una perdita, il promotore rischia di compromettere il rapporto con il cliente.
Spallanzani. Non sono nemici, ma ho la sensazione che il promotore sia più attento alla propria remunerazione che alla qualità del prodotto. Nella consulenza è leggermente diverso. Noi non abbiamo un budget da rispettare o prodotti da vendere. I clienti ci remunerano per l’impegno nel realizzare qualcosa di aderente alle loro necessità e al raggiungimento dei loro interessi. È molto difficile far percepire il valore della consulenza e sei i risultati non sono quelli sperati il rischio che il cliente se ne vada è elevato. 
Toledo. Sim di consulenza, banche e promotori, svolgono un’attività difficilmente comparabile in quanto praticata con logiche molto diverse. Le sim cercano di evidenziare lo status di indipendenza e assenza di conflitti di interesse, e non gradiscono che ci sia una confusione nei ruoli che svolgono le diverse realtà. Sono perplesso sul tema dell’inducement, cioè dell’aprirsi ad accordi commerciali con soggetti terzi. La perplessità nasce dal legarsi a un soggetto. La grande forza di un family office è che, relazionandosi  con un numero elevato di istituzioni finanziarie, ha una visione completa del mercato. La singola banca, il singolo promotore non ha una visibilità così importante. Ciò detto, il cliente ha bisogno delle banche e di prodotti bancari e finanziari. Il ruolo del consulente è proprio quello di consigliare a chi rivolgersi e all’interno di ciascun istituto suggerire quale servizio acquistare e quale evitare.
Scolari. I promotori esistono da tempo: è un’industria che, in Italia, risale addirittura agli anni Settanta, e ha fatto tante cose importanti. Concordo sulla distinzione dei ruoli; però, tutti i mestieri hanno dignità e sono importanti. Vorrei, tuttavia, porre l’attenzione su altri aspetti: il collocamento è uno dei servizi che una sim può svolgere se autorizzato dalla Consob, insieme all’attività di consulenza. Quindi non c’è alcuna preclusione giuridico-formale nello svolgere entrambe le attività. Vorrei, però, sottolineare la differenza tra il collocamento e la ricezione e trasmissione ordini, che è quello che forse più si avvicina a un servizio di consulenza. Mi spiego: mentre il collocamento implica la vendita attiva dei prodotti finanziari, la raccolta, ricezione e trasmissione ordini è un servizio passivo dove si raccoglie l’ordine e lo si trasmette a un intermediario, che poi si occuperà del collocamento o della negoziazione. In questo senso deve essere vista come un’attività di supporto e di facilitazione dell’attività di consulenza, che non viola alcuna regola di indipendenza. Il servizio di collocamento implica, invece, l’assunzione di una vera e propria responsabilità. Conseguenza: non si riesce più a distinguere la sim di consulenza da una sim di collocamento.
D. Regole uguali tra spa, sim e srl di consulenza?
Scolari. Siamo in presenza di sim che svolgono attività di consulenza anche verso gli investitori istituzionali, oltre che verso i privati. I clienti istituzionali sono, naturalmente, banche, compagnie di assicurazione, fondi di investimento ma anche aziende industriali, commerciali di una certa dimensione e con certe caratteristiche. In Italia non vi è un obbligo da parte degli investitori istituzionali di rivolgersi a soggetti regolamentati per l’attività di consulenza. Il fatto di essere una sim soggetta a controllo, autorizzazione e vigilanza delle autorità implica una serie di garanzie di tipo formale per l’investitore istituzionale che altri soggetti non danno. Quali sono le caratteristiche che rendono una sim di consulenza diversa da un punto di vista sostanziale rispetto a una società di consulenza non sim o a un advisor indipendente? L’autorizzazione di una sim implica uno scrutinio  approfondito da parte delle autorità di vigilanza sulle persone rilevanti: amministratori, sindaci, azionisti. Il fatto che le sim siano sottoposte a uno scrutinio in fase autorizzativa e in successivi passaggi azionari in cui si verifichi la qualità, l’onorabilità, la professionalità dei membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, è una garanzia. Le società di consulenza in forma di sim sono obbligate ad avere una funzione di compliance che, tra le tante altre cose, deve anche verificare le operazioni personali svolte dagli amministratori, dai sindaci. Le sim di consulenza, che si sono riunite negli ultimi mesi, hanno costituito un tavolo di lavoro comune a cui aderiscono quasi tutti gli operatori attualmente presenti sul mercato; uno dei punti iniziali dell’accordo che è stato stretto è di richiedere che sulla consulenza ci siano condizioni uguali per tutti, indipendentemente dalla configurazione societaria.
Armellini. Ritengo che le sim di consulenza debbano avere maggiori requisiti rispetto alle sole srl e spa, in quanto hanno un conflitto di interessi in più. Le sim di consulenza, infatti, sono società di intermediazione mobiliare e quindi hanno la possibilità di prendere provvigioni sui prodotti che consigliano. E questo elemento deve essere preso in considerazione dalla normativa con requisiti più stringenti per una sim rispetto a società che non fa intermediazione mobiliare. Per quanto riguarda le competenze, valutare se è meglio una spa o una sim di consulenza è complicato: sarà il mercato che stabilirà a chi andrà la preferenza. Vorrei ricordare che il decreto del ministero dell’Economia del 24 dicembre 2008 ha sancito il requisito di indipendenza per gli iscritti all’albo dei consulenti finanziari. Questo requisito di indipendenza comporta nero su bianco che le srl e le spa non sim di consulenza non debbano avere nessun rapporto con istituti bancari, sia direttamente sia indirettamente, o sotto qualsiasi natura. È una differenza sostanziale con le sim di consulenza.
D’Acquarone. Sul tema dell’albo dei consulenti finanziari ci sono aspetti che non sono chiari. L’introduzione del decreto Bonfrisco ha, a mio avviso, creato i presupposti per generare un po’ di confusione nel mercato della consulenza. I soggetti regolatori (Consob e Banca d’Italia) avranno il non facile compito di dover regolamentare questi nuovi soggetti (consulenti persone fisiche, srl e spa) identificando regole che dovranno essere omogenee ed equivalenti per tutti gli attori della consulenza. Tra i punti interrogativi, ricordo quello dell’offerta fuori sede. Le sim, stante la vigente normativa, devono avvalersi di promotori finanziari. Il consulente-persona fisica iscritto all’albo può recarsi presso il cliente, ma all’interno di una srl o una spa, dove operano una pluralità di persone, chi sono i soggetti titolati a recarsi dai clienti. Tutti? Nel mio organico sono previste sette persone in sede e fuori ci va soltanto il mio socio che è iscritto all’albo dei promotori: io non ci posso andare.
Ambrosetti. C’è un problema culturale da risolvere. Se le sim di consulenza verranno trattate come una banca, con costi e doveri assimilabili,  alla fine dovranno, per forza di cose, ragionare come un istituto di credito. La compliance impone di prendere persone che fanno quel lavoro in banca e importare cultura di prodotto in una società di consulenza. E questo costituisce un problema per la nostra società.
Toledo. Ci auguriamo che le sim di consulenza mantengano un carattere distintivo forte e ben identificabile, nel caso in cui le regole dovessero essere meno rigide per le altre forme giuridiche autorizzate a fornire consulenza. Altrimenti verrebbe meno la necessità di essere sim.
Facile. Se si sostiene che è difficile far apprezzare il valore di ciò che facciamo, il tema della professionalità è fondamentale. In questa sede si è parlato dei promotori in termini piuttosto negativi, ma i consulenti quali requisiti hanno? Qual è la loro professionalità? Come si crea? E come si garantisce a chi compra la consulenza? Siamo sicuri che un consulente sia bravo?
D. Come va accertata la competenza tra i soggetti che erogano advisory finanziaria?
Scolari. Ritengo che l’aspetto dei cosiddetti requisiti di professionalità, o comunque della qualità delle persone che erogano la consulenza sotto diverse forme, sia l’aspetto più importante. Prima si richiamava la situazione degli Stati Uniti dove ci sono 50.000 persone che svolgono l’attività di consulenza e detengono il Cfp. L’unico Paese importante dove non è stato istituito un centro nazionale per questo esame è l’Italia. Sarebbe importante creare anche da noi una struttura per realizzare questo tipo di esame.  Bisogna assicurare sia l’indipendenza, sia la professionalità e la qualificazione certificata per favorire l’ascesa dei professionisti della consulenza finanziaria. Un problema che riguarda anche i gestori: chi oggi gestisce un fondo di investimento non deve fare alcun esame. Rimane la qualificazione certificata. In Italia ci sono meno di 1.000 fondi di investimento, a fronte dei quali i possessori di certificazione Cfa sono inferiori a 300. Dunque, abbiamo una gran maggioranza di fondi di investimento gestiti da chi non ha standard internazionali.
Nanni. Dobbiamo rivendicare l’importanza della consulenza svolta in modo professionale con determinati requisiti e a tutela della clientela. Il perimetro della cosiddetta attività «riservata» è molto ristretto. La pianificazione finanziaria, e cioè la generica asset allocation, pur se personalizzata, ma non su strumenti specifici, è un’attività libera, esercitabile da chiunque. Quando questa attività viene esercitata da una sim di consulenza, questa deve preventivamente profilare il cliente attraverso un questionario e comunque effettuare una proposta adeguata al profilo di rischio del cliente. Un qualunque soggetto non vigilato non è  invece tenuto a osservare queste procedure a tutela del cliente svolgendo la stessa attività di pianificazione finanziaria. Per quanto riguarda l’attività di consulenza riservata, resto perplesso quando sento dire che una sim di consulenza non possa inviare un proprio esponente presso la sede del cliente, perché solo il promotore può farlo.
Scolari. La consulenza per sua natura è un servizio per cui l’erogazione non è centralizzata. Certo, può esserlo nel senso che tu puoi vendere, mandare una lettera dalla sede, ma sostanzialmente è un servizio che ha una qualità diversa anche dal punto di vista proprio tecnico, sostanzialmente diverso da un servizio di gestione, di collocamento o di negoziazione. Chi accede ai mercati lo fa dalla propria sala operativa.
D. Utilizzate promotori finanziari per l’offerta fuori sede del servizio di consulenza ?
Nanni. No, nessuno di noi lo è. Uno dei responsabili della relazione con la clientela ha il certificato Cfa.  Ma è un altro discorso.
Spallanzani. No, e siccome dalla Consob ci sono arrivati suggerimenti chiari del tipo: «voi la consulenza dovreste farla in ufficio... o in ufficio», noi facciamo advisoring solo ed esclusivamente presso la nostra sede.
Rizzo. Di base crediamo nel modello di boutique finanziaria, quindi in una società specializzata in grado di offrire soluzioni su misura per il cliente. Nella nostra realtà gli amministratori, pur non essendo promotori, hanno il contatto diretto in sede con i clienti, proprio per poter offrire una soluzione personalizzata, e non prevediamo a breve di avvalerci di promotori finanziari. A fronte degli obblighi amministrativi delle sim di consulenza, la possibilità per gli amministratori di offrire il servizio anche fuori sede rappresenterebbe sicuramente un interessante fattore di sviluppo del settore.
D. Qual è la tipologia di servizio che offrite ai privati, alle aziende e alle istituzioni?
Facile. Abbiamo due target di clientela, le imprese e le banche. Alle aziende proponiamo supporto nella gestione finanziaria e nel controllo di gestione. I nostri interlocutori vanno dal chief financial officer di una blue chip fino alla piccola impresa, nei confronti della quale abbiniamo consulenza e outsourcing, per gestire le attività operative dell’azienda, che vanno dalla pianificazione alla tesoreria, fino alla gestione dei rischi. Per quanto riguarda, appunto, la gestione dei rischi finanziari, che poi è l’oggetto dell’autorizzazione, noi supportiamo l’azienda nel definire gli obiettivi, i processi interni, le scelte di gestione, la misurazione dei risultati, la contabilizzazione in bilancio. Naturalmente, sui derivati c’è l’assistenza continuativa nelle decisioni che è una componente dei servizi dove si innesta la raccomandazione personalizzata.
D. Come vi fate pagare il servizio?
Armellini. La nostra remunerazione è a parcella fissa, ma non la calcoliamo a percentuale sul patrimonio finanziario: i tre grossi asset di un imprenditore sono l’azienda, l’immobiliare e il finanziario. Noi evitiamo di ragionare così: «spostiamo l’attenzione sul finanziario così guadagniamo di più». In tal modo si rischia di non dare la giusta attenzione ad aspetti come la pianificazione immobiliare e degli asset aziendali.
Spallanzani. Facciamo pagare anticipatamente le fee, metà all’inizio dell’anno e metà a fine giugno. La parcella viene calcolata sull’ammontare del patrimonio.
Nanni. La nostra remunerazione non è legata agli asset ma è una sorta di parcella fissa, che noi calcoliamo anche in funzione delle giornate uomo, secondo un modello adottato dalle società di consulenza tradizionali. Non adottiamo le performance fee, perché non sempre riusciamo a incidere su tutto il portafoglio e le scelte sono talvolta non del tutto condivise e autonome rispetto alle scelte finali del cliente. Ultimamente, con qualche cliente abbiamo concordato la definizione di parametri oggettivi in funzione dei quali si può calcolare una sorta di success fee.
Facile. Se l’assistenza è continuativa e il cliente ha obiettivi di gestione flessibile e dinamica possiamo prevedere anche delle success fee.  Con le banche facciamo un discorso diverso: le supportiamo nel disegno di un prodotto o di un servizio per la clientela fino alla sua realizzazione e al supporto specialistico alla rete della banca per la proposta alla clientela. La parcella la calcoliamo in base al tempo che prevediamo i nostri consulenti dedicheranno al progetto.
Rizzo. Nel contratto base prevediamo di essere remunerati al 100% tramite success fee. Abbiamo voluto fissare una soglia di rendimento (hurdle rate) importante al di sopra della quale Galileo Finance percepisce commissioni del  6% annuo, perché ci interessa essere pagati solo se creiamo un effettivo valore aggiunto. Inoltre, per evitare politiche che portino ad aumentare la volatilità a danno del cliente, abbiamo un sistema high water mark, che prevede l’integrale recupero delle eventuali perdite precedenti, prima di considerare la soglia dell’anno in corso. Visto che alcuni investitori hanno preferito ridurre la success fee e pagare una piccola percentuale fissa, la struttura attuale dei nostri ricavi è rappresentata per circa il 90% da success fee e per circa il 10% da fee proporzionali al patrimonio sotto consulenza.
D’Acquarone.

Sul fronte commissionale, storicamente siamo sempre andati sulla flat fee, da un minimo dello 0,1% a un massimo dell’1%, in funzione di parametri come per esempio le dimensioni del patrimonio, la complessità del patrimonio, intendendo con questo concetto il numero di banche con le quali il cliente opera e  il profilo di rischio. Da quest’anno stiamo valutando con un cliente di applicare anche un regime che prevede delle performance fee con criterio high water mark.

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