Sinéad O’Connor reggae è una vera rivelazione

L’avvio, d’una dolcissima e pensosa lentezza, ci restituisce immediatamente la Sinéad O’Connor più intensa e spirituale. E così, in quest’album registrato nella Kingston di Bob Marley, la cantautrice irlandese smentisce ancora una volta l’ennesimo, annunciato ritiro dalle scene. Per fortuna, ché Throw down your arms è un album bello e magico, ricco di suggestioni formali ma anche di interiorità, prodotto da Sly Dunbar e Robbie Shakespeare con un occhio al retroterra giamaicano e l’altro ad intenzioni assolute. La «scaletta»? Classici reggae riletti con tale potenza d’immedesimazione che sembrano scritti da Sinead medesima. I temi? Vanno di conseguenza: slanci mistici, echi biblici, rivendicazioni irredentiste, omaggi al messia pan-africano Marcus Garvey al cui nome è intitolato il secondo brano del disco, autori Phillip J. Fulwood e Winston Rodney, su un solare ritmo di reggae.

La voce della cantante tocca vertici di grazia riflessiva addirittura inconsueti, ma anche momenti di vera epopea (Door peep) e di assorta preghiera (He prayed). La cornice sonora è scarna e tuttavia screziata: tenerezze di flauto, festevolezze da big band, suoni-rumore con il colore aspro della vita vissuta.

Sinéad O’Connor Throw down your arms (Edel-Fandango)

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