da Milano
Se Walter Veltroni è l’interprete indiscusso della filosofia del ma-anchismo, Guglielmo Epifani ne è certamente il padre putativo. Un po’ per studio (laurea alla Sapienza con tesi su Anna Kulisciov, la femminista riformista storica compagna di Filippo Turati), un po’ per pedigree: romano con un’infanzia a Milano e maturità ancora capitolina, il leader Cgil ha sempre viaggiato sul treno delle convergenze parallele. Si ritrova socialista nonostante il padre Giuseppe fosse un fanfaniano. A nulla vale l’esperienza da volontario cattolico negli anni ’70 alla Bufalotta, con i ragazzi poveri del doposcuola. Il Psi fu una scelta presa «per esclusione», confessò qualche anno fa al Giornale, perché la paterna Dc era «conservatrice» e il comunismo «nemico della libertà». Tra il ’73 e il ’77 lavora all’università e vince il concorso da ricercatore: qui scova le lettere di Giovanni Amendola a Vittorio Emanuele III dopo lo «strappo» dell’Aventino del giugno 1924. Di sera, invece, incontra Enrico Boselli, Roberto Villetti e un giovanissimo Enrico Mentana nella sede romana dei giovani socialisti della Fgsi.
Debutta alla Cgil come direttore della casa editrice Esi, poi è un’escalation fino alla segreteria confederale, passando per i lavoratori poligrafici e cartai. Nel curriculum del 58enne sindacalista sosia de noantri di Harrison Ford brilla orgogliosamente la scelta di opporsi all’ala comunista della Cgil che non voleva la scala mobile («Avevamo ragione noi a fare la fronda - ama ricordare - quel referendum voluto da Berlinguer era sbagliato, e infatti fu perso»). Ma per non farsi mancare nulla, il colto sindacalista filosofo è anche uno dei pochi ex socialisti (giolittiani ma anche un po’ craxiani) iscritto all’ex Correntone Ds.
Forse per questo si spiega la sua strategia doppiopesista al tavolo delle trattative Alitalia, magnificamente riassunta nelle due lettere pubblicate dal Giornale e in una frase in perfetto sindacalese: «Abbiamo firmato per il personale di terra con Cisl, Uil e Ugl che rappresentano il 51% dei lavoratori, ma non per il personale di volo, perché non si può fare un accordo separato se si rappresenta meno della metà dei lavoratori». Requiem per Alitalia, ma anche per l’unità sindacale, visto che per Raffaele Bonanni Epifani è «il becchino di un’azienda morta».
Amici pochi, anche se nella sua lunga carriera sindacale ha incrociato la scrivania con Giuliano Amato (all’ufficio economico della Cgil nel ’74), Bruno Trentin (nel ’91) e Ottaviano Del Turco, di cui prese il posto come segretario aggiunto. Qualcuno maligna che nel ’92 Epifani sostenne economicamente la campagna elettorale del suo ex compagno di partito e sindacato Maurizio Sacconi, oggi ministro del Welfare.
Ma i tempi cambiano, e anche i «ma-anche». Con il centrodestra di governo è stato subito scontro. Prima ancora di sedere sullo scranno che fu di Luciano Lama, nel giugno del 2002 Epifani rivendicò la linea dura della Cgil sull’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (che avrebbe esteso a tutte le aziende la facoltà di licenziare senza giusta causa) in nome di una strategia che «avrebbe premiato in consenso e credibilità». Nella breve parentesi di centrosinistra al governo, invece, fecero scalpore i sonori fischi incassati il 7 dicembre 2006 a Mirafiori, quando Epifani (al debutto nel tempio operaio di Torino) dovette spiegare alle tute blu il perché del «sì» Cgil al protocollo sul Welfare voluto dall’Unione, che prevedeva anche il passaggio del Tfr dalle casse dell’azienda a quelle dell’Inps. Toni stonati per chi ama tutta la musica, la lirica ma anche «il jazz di Keith Jarrett» e, perché no, «pure i Pink Floyd».
Non è ancora sicuro se, come si mormora nei corridoi del Palazzo, per scrollarsi di dosso il peso del fallimento della trattativa Alitalia il Pd lo manderà a Bruxelles alle prossime elezioni europee.
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