Sindrome Moretti: il politico si alza e se ne va

In principio fu l’ira di Berlusconi dall’Annunziata. Ora sembra una moda: da Mastella a Boselli a Casini, si pianta tutto per farsi notare

Ancora una volta il capostipite fu lui, Silvio Berlusconi, in quella indimenticata puntata del marzo 2006, quando si esibì in un poderoso duello con Lucia Annunziata: «Lei è una violenta e sta cercando di non farmi dire delle cose!», disse il leader della Casa delle libertà. E lei gli rispose: «È lei che sta approfittando della mia buona educazione!». Come andò a finire, è noto. Berlusconi alzò il tiro, sparò alto, si mise in piedi, tese la mano, abbandonò lo studio: «Me ne vado! Me ne vado e questo resterà come una macchia nella sua carriera professionale. Mi ha fatto una domanda, non mi ha fatto rispondere».
Gli analisti politici dissero poi che quell’abbandono precipitoso al culmine di una campagna ipertelevisiva, segnò l’inversione della tendenza, della rimonta di Berlusconi. Altri dissero che aveva motivato elettori del centrosinistra. La cosa indubitabile è che quello strappo divenne a suo modo uno show, un messaggio mediatico, l’ultima volta in cui abbandonare uno studio poteva essere un graffio e una sorpresa. Adesso, nel tempo della postpolitica, il menevadismo è diventato quasi un rito, una forma differita di comunicazione politica. Dopo il famoso duello fra Berlusconi e l’Annunziata a Raitre, infatti, ci fu un’altra fiammata in cui l’abbandono dello studio corrispondeva a una cerimonia di primi piani rubati, di sorrisi infranti, di oddio che cosa succede. E fu esattamente il giorno in cui Clemente Mastella se ne andò da Annozero a metà del programma, senza preavviso, indispettito da una feroce vignetta di Vauro che lo definiva, come suo solito, Madre Mastella di Calcutta: «Sapevo fino ad oggi di essere in una trasmissione di pericolosi comunisti - aveva ironizzato la matita più feroce della satira di sinistra -, ora so anche che si tratta di comunisti pure froci... ».
Ma oggi, gli ultimi addii sono scelte senza brivido, addirittura quasi annunciate. C’è chi, come Enrico Boselli, se ne va con un preciso manifesto programmatico (dal programma di Bruno Vespa, Porta a porta, per denunciare l’assenza di pluralismo sui canali della Rai). E c’è chi, come Pier Ferdinando Casini, mostrando straordinaria sagacia nel tenere insieme l’utile e il dilettevole, se ne va da Otto e mezzo, il programma di Lanfranco Pace e di Ritanna Armeni su La7, dopo essersi indispettito per l’ennesima domanda sul motivo per cui non aveva accettato in lista Clemente Mastella. Casini aveva tagliato corto: «Sono venuto qui per presentare il mio programma, e invece mi fate domande di gossip». Il vero capolavoro comunicativo del leader dell’Udc, però, era che questo annuncio veniva fatto proprio mentre stava scorrendo il rullo dei titoli di coda, e quindi Casini se ne andava sì, ma anticipando di soli pochi secondi la fine del programma.
Nell’età della postpolitica, la vera novità è che tutti i competitori hanno imparato a declinare sia l’assenza che la presenza. Oliviero Diliberto, leader del Pdci, ottiene la migliore stampa dei suoi ultimi cinque anni di vita politica annunciando che non sarà in lista pur di cedere il suo posto a un operaio (del suo stesso partito) della ThyssenKrupp. E viene in mente anche il Marco Pannella che inizia uno sciopero della fame dapprima contro i leader della sua stessa lista, il Partito democratico. E poi spiega che non è più contro di loro, ma non si sa più bene contro chi. È lo stesso Pannella che fece scalpore nel 1978, quando partecipò, dopo l’omicidio di Giorgiana Masi, a una celebre tribuna politica in cui appariva, per trenta interminabili minuti, legato, imbavagliato e con un cartello al collo. L’ultimo memorabile esempio di menevadismo è quello di Gustavo Selva che, dopo una condanna a sei mesi per il celebre tragitto percorso in ambulanza per andare in uno studio televisivo, se ne va proprio dopo essere stato condannato a sei mesi per quel percorso singolare. Quel giorno Selva sollevò le mani al cielo, davanti alle telecamere, mostrando felice che lui nello studio c’era arrivato grazie alla Croce rossa: «Guardate, mi hanno perfino fatto una flebo!». Adesso coglie la palla della condanna al balzo e annuncia con una punta di rammarico: «Non ci sarò, rinuncio ad essere in lista». Insomma, nel tempo della casta, i politici devono cambiare forme di espressione, o rischiare di estinguersi. E così, anche Clemente Mastella, dopo che per tre giorni era stato annunciato come candidato da solo contro tutti, come apparentato al Popolo della libertà, e quindi come «ospite» nella liste della Dc di Pizza, anche lui ha dettato il suo commiato: «Adesso sono molto più sereno».

Insomma, non per tornare ai vecchi classici, ma, alla fine, si realizza la celeberrima profezia di Nanni Moretti: «Mi si nota di più se vado, o se non vado?». Sono questi i tempi in cui per i politici è buona la seconda.

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